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Bambini rifugiati siriani nelle fabbriche dei fornitori di H&M in Turchia

Il colosso svedese ha ammesso di aver riscontrato la presenza di minori profughi e di aver intrapreso misure per combattere il fenomeno. Un report della ong BHRRC lancia l’allarme: molte altre aziende potrebbero essere coinvolte.
A cura di C. T.
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I colossi della moda low cost H&M e Next hanno denunciato la presenza di bambini rifugiati siriani nelle loro fabbriche in Turchia. Stando a quanto scrive il quotidiano Indipendent, le due aziende "sono state le uniche che hanno ammesso l'esistenza del lavoro minorile nelle loro fabbriche in Turchia", coinvolte in un'indagine dell'organizzazione no profit Business and Human Rights Resource Centre-BHRRC. Ma si teme che il fenomeno sia molto più vasto. Diversi rivenditori, infatti, interpellati sulla questione si sono rifiutati di rispondere. Insieme a Cina, Cambogia e Bangladesh, la Turchia è uno dei maggiori produttori dei vestiti venduti in Inghilterra, cui si appoggiano marchi come  Topshop, Burberry, Marks & Spencer e Asos. Il paese è anche quello che ospita il maggior numero di rifugiati siriani, con circa 2,5 milioni di persone arrivate dall'inizio del conflitto nel 2011. Si stima che tra 250 mila e 400 mila lavorino illegalmente.

Secondo un report di BHRRC, poche aziende starebbero prendendo provvedimenti per evitare che i rifugiati finiscano in condizioni di sfruttamento. La Ong evidenzia che centinaia di migliaia di adulti di origine siriana in Turchia lavorano per paghe ben al di sotto del salario minimo (che è di circa 309 dollari al mese). Molti bambini sono impiegati come manodopera a basso costo in fattorie e fabbriche, in violazione della legge turca e internazionale che vieta che i minori al di sotto dei dodici anni possano lavorare. Lo scorso mese BHRRC ha chiesto a ventotto grandi aziende di rilasciare informazioni riguardanti i loro fornitori in Turchia e di comunicare eventuali strategie per combattere lo sfruttamento del lavoro. Solo H&M e Next hanno risposto di aver trovato minori impiegati nelle fabbriche durante il 2015. Entrambe le compagnie hanno assicurato di aver intrapreso misure per riportare i bambini a scuola e supportare le loro famiglie.

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Altre aziende, come Primark e C&A, hanno ammesso di aver riscontrato casi di rifugiati siriani adulti nelle fabbriche, mentre Adidas, Burberry, Nike e Puma hanno detto di non aver registrato casi. Alcune compagnie – come Gap o River Island – non hanno neanche risposto. BHRRC ha denunciato il fatto che solo pochi marchi sembrano aver decisio di affrontare la situazione e che, invece, molti adottino un approccio "lontano dagli occhi, lontano dal cuore".

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