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Siria, si arrende anche l’Onu: “Mille morti in 20 giorni, corpi in putrefazione negli edifici”

Sajjad Malik, il rappresentante in Siria dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, è entrato con un convoglio nella Ghouta orientale e ha descritto la drammatica situazione umanitaria degli abitanti intrappolati nell’enclave ribelle. Dal 18 febbraio sono oltre 1.000 i morti. Intanto i primi jihadisti hanno cominciato ad abbandonare la zona.
A cura di Mirko Bellis
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Un bambino cammina tra le macerie a Douma, nella Ghouta orientale (Gettyimages)
Un bambino cammina tra le macerie a Douma, nella Ghouta orientale (Gettyimages)

“La Ghouta orientale è sull'orlo di un enorme disastro. La distruzione è ovunque, ci sono corpi senza vita abbandonati dentro gli edifici collassati. L’odore è nauseante. Quando siamo arrivati con gli aiuti, gli abitanti sono usciti dai loro rifugi sotterranei ed è difficile descrivere quello che ho visto. Ci sono bambini così pallidi ed emaciati che dimostrano la metà dei loro anni. Sono traumatizzati, vivono nella paura costante dei bombardamenti incessanti e non sanno cosa accadrà”. Sajjad Malik, il rappresentante in Siria dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, è entrato lunedì a Douma, la principale città della Ghouta orientale, l’area a est di Damasco da settimane sotto il fuoco dell’artiglieria e dell’aviazione siriana. La testimonianza di Malik rivela la disperata situazione degli abitanti intrappolati nell'enclave ribelle. “Nelle area assediate non c’è cibo e i genitori vedono i loro figli soffrire per la fame. Nella mia vita non ho mai visto facce così spaventate – sottolinea Malik – puoi vedere la paura nei loro occhi, nelle loro espressioni. Sono alla ricerca disperata di qualcuno che li aiuti”.

Nella Ghouta orientale ieri è ripresa la consegna degli aiuti umanitari dopo la sospensione di lunedì dovuta ai bombardamenti. I convogli della Croce rossa internazionale e della Mezzaluna rossa con cibo e generi di prima necessità – hanno avvertito gli operatori umanitari – sono sufficienti a sfamare solo una minima parte dei circa 400.000 abitanti che si stima vivano nell'area a pochi chilometri dalla capitale siriana.

Nonostante la tregua di 30 giorni decisa dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, i bombardamenti sulla Ghouta non sono mai cessati. Ieri 9 persone sono morte a Mesraba, quasi tutti componenti di una stessa famiglia, mentre l’esercito siriano e le milizie alleate continuano ad avanzare e hanno già riconquistato quasi la metà della roccaforte ribelle. Dal 18 febbraio scorso, denuncia Medici senza frontiere, hanno perso la vita più di 1000 persone, una media di 71 morti al giorno.

Gli attacchi non hanno risparmiato neppure gli ospedali: l’Organizzazione mondiale della Sanità ha pubblicato un rapporto secondo cui, dall'inizio del 2018, sono state colpite 36 strutture sanitarie. Una situazione che ha aggravato ulteriormente la già difficile crisi umanitaria.

A causa dei bombardamenti costanti i feriti non vengono più soccorsi e rimangono sepolti sotto le macerie. “Stavo camminando con un medico vicino alla clinica della Mezzaluna rossa – prosegue il rappresentante dell'Unhcr – quando ho sentito un odore fortissimo provenire da un edificio distrutto. Il dottore mi ha detto che c’erano ancora dei corpi senza vita sotto le macerie. Sono rimasto per un po’ a guardare quel palazzo di cinque completamente crollato e ho chiesto quante persone fossero sepolte là dentro. Mi hanno risposto che c’erano tre morti, poi un signore che era lì accanto ha aggiunto ʽno, non ce ne sono tre, sono quattro’. La moglie, la figlia, il genero e il fratello erano stati uccisi e nessuno ancora aveva potuto recuperare i loro cadaveri”. Come conferma a Fanpage.it anche il dottor Hussin Hasel, un medico locale, “i bambini e le donne muoiono e restano abbandonati perché nessuno può tirarli fuori e dare loro sepoltura”.

Il presidente russo Putin aveva annunciato la creazione di corridori umanitari per permettere ai civili di abbandonare la Ghouta. Per Sajjad Malik, la risposta del perché finora in pochi abbiano deciso di lasciare l’area è una sola: la mancanza di sicurezza. “Le persone con le quali ho parlato mi hanno detto che temono di oltrepassare i checkpoint per raggiungere le aree controllate dal governo: ʽL’ultima cosa che vogliamo è trovare la morte dall'altra parte’. Stanno affrontando un'azione militare aggressiva. All'interno ci sono anche gruppi armati che resistono e combattono, e ci sono ribelli che si stanno scontrando tra loro. I civili sono intrappolati in questa situazione e non hanno nessun posto dove andare”. Secondo quanto informa l'agenzia di notizie statale Sana, una donna e i suoi tre figli sono morti mentre cercavano di attraversare un varco, uccisi dal fuoco degli insorti.

“L’implacabile sofferenza dei civili siriani evidenzia il vergognoso fallimento della volontà politica di trovare una soluzione, di fronte ad un nuovo tracollo nel lungo conflitto in Siria, che questo mese giunge al suo sconfortante settimo anniversario”, è stata la dura dichiarazione di Filippo Grandi, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. “Questa guerra lunga sette anni ha lasciato dietro di sé una tragedia umana colossale. Per il bene di chi è ancora vivo, è giunto il momento di porre fine a questo conflitto devastante. Non ci sono vincitori chiari in questa insensata ricerca di una soluzione militare. Ma è chiaro chi ha perso: l’intero popolo siriano”, ha concluso Grandi.

Oggi 13 miliziani dell’organizzazione Hayat Tahrir al-Sham (Hts, affiliata ad Al Qaeda) sono partiti assieme ai familiari verso la provincia settentrionale di Idlib. I jihadisti erano prigionieri dell’Esercito dell’Islam (Jaish al-Islam), uno dei gruppi ribelli più potenti dentro la Ghouta, che pochi giorni fa si era impegnato con il segretario della Nazioni Unite ad espellere i combattenti islamisti. Un modo questo per chiedere che venga rispettato il cessate il fuoco deciso dal Consiglio di sicurezza, che esclude appunto Al Qaeda e l'Isis.

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