Un tempo c'era una classe dirigente da rottamare. Poi sono arrivati i gufi ed i rosiconi. Ora è il tempo dei poteri forti, dei poteri aristocratici e dei pensieri deboli. Nella narrazione renziana, insomma, lì fuori è pieno di ostacoli, nemici ed oppositori da eliminare, mettere a tacere, "battere" con i fatti. Una ricostruzione avallata anche da alcuni commentatori, secondo cui Renzi è odiato dai giudici, dai giornalisti, dai sindacati, dai salotti buoni, dai vecchi politici, dai parrucconi, dagli eurocrati e tecnocrati ed è amato invece dagli italiani (qualche esempio qui, qui e qui). Una lettura confermata anche dagli interventi dei parlamentari democratici, dei ministri e degli integralisti del verbo renziano.
Insomma, Matteo Renzi è sotto assedio, accerchiato. Ma, ovviamente, non molla, va avanti, non si ferma. Soprattutto perché glielo hanno chiesto gli italiani, che sono con lui senza se e senza ma.
Ora, finché una ricostruzione del genere resta confinata ai salotti televisivi o alle beghe interne al Pd, potremmo cavarcela pure con un sonoro "chissene". Il problema è quando diventa un "fatto" politico, un elemento che legittima forzature e (presunti) cambi di passo, o peggio ancora, un discrimine della bontà "a prescindere" delle scelte dell'esecutivo. Dopo il frame comunicativo del "cambiamento – positivo", anche solo in quanto tale, ecco ritornare quello del "giovane contro i (vecchi) poteri forti", in tutte le sue sottocategorie: fatti vs chiacchiere, semplificazione vs burocrazia, decisionismo vs parlamentarismo, difesa dei precari vs tutela dei (soliti) garantiti, ottimismo e speranza vs pessimismo e rassegnazione.
Questa è sostanzialmente la griglia interpretativa del reale che ci offre la poetica renziana. Queste sono le coordinate attraverso le quali la politica è letta dai pasdaran del Messia fiorentino. I quali, però, a differenza dell'ex Sindaco – segretario part time – Presidente del Consiglio, probabilmente non hanno ben chiaro un (drammatico) dato di fatto: Renzi è solo, praticamente senza avversari. E aggiungerei, il problema è proprio questo.
Quella che dovrebbe costituire l'opposizione in grado di mettere in difficoltà il capo del Governo e di frenare il processo di riforma del Paese è una armata Brancaleone senza mezzi, risorse e autorevolezza. A cominciare dalla sua falange parlamentare, che vede in prima linea un Movimento 5 Stelle ancora alla ricerca di una dimensione di credibilità ed incidenza, poi quel che resta di Sinistra Ecologia e Libertà e una Lega Nord impegnata nel consolidamento del consenso più che nel raggiungimento di obiettivi a breve termine. Su Forza Italia glisserei volentieri, così come sulla consistenza dell'opposizione interna al Partito Democratico (che si aggrappa al livore di D'Alema, alle metafore di Bersani e alla "pazienza" di Civati, costretto a prendere atto di come tra i suoi compagni di partito il concetto di "coerenza" sia decisamente secondario rispetto alla prospettiva di carriere personali o all'istinto di sopravvivenza…si veda il surreale risultato del voto all'ultima direzione del Pd). Insomma, a ben guardare l'unico problema vero per Renzi è rappresentato dall'ultimo residuato della Prima Repubblica: il franco tiratore. Un po' pochino per gridare all'assedio, non credete? Anche perché, se ci riflettiamo, è il franco tiratore ad averlo portato a Palazzo Chigi.
Quanto alle parti sociali, non credo si possa ignorare l'appoggio convinto di Confindustria (che ha avuto chiare garanzie nella formazione della squadra di Governo) e di tanti di quei "corporativismi" che per molti renziani, a parole certo, sono il "male". I sindacati, invece, attraversano una crisi senza precedenti: divisi all'interno, in difficoltà sul piano della rappresentanza (che poi è la vera sfida, come Renzi ha ben capito), provati dalla crisi e dalle politiche di austerità (indirettamente, certo) e incapaci / impossibilitati a rinnovarsi profondamente. La "sfida di Renzi" può essere un passaggio fatale, anche se lo stesso premier dovrebbe domandarsi a che pro continuare ad indebolirli. Vabbeh, del resto il modello è collaudato.
Cosa resta? Ah già, i giornali e gli altri mezzi di informazione. Obiettivamente si sfiora il ridicolo quando si disegna un'informazione schierata sulle barricate contro le riforme e contro il cambiamento imposto dal Governo Renzi. E si dimenticano mesi di titoli urlati, di editoriali sognanti, di magnificazioni del Governo del fare, anzi del fare in fretta, subito, ora. Del resto, come detto, la comunicazione è sempre la stessa: le critiche nel merito diventano "sfascismo", le obiezioni su numeri e cifre diventano "gufate", i rilievi sulla legittimità delle procedure e della prassi istituzionale diventano "passatismo". In questa griglia interpretativa sono inserite anche le obiezioni di editorialisti e commentatori (per inciso, Scalfari e De Bortoli andavano benissimo fin quando "concedevano credito", ora invece sono al servizio dei poteri forti), mentre i giornalisti che piacciono ai fedelissimi del Messia fiorentino sono più o meno questi:
Sui poteri forti, invece, vi rimandiamo alle parole di un renziano non della prima ora: