Che quello della diplomazia internazionale sia un teatrino in cui a farla da padrone è un pirandelliano gioco delle parti ormai è chiaro a tutti, anche e soprattutto dopo le rivelazioni contenute nei documenti di Wikileaks. Ma che gli equilibri sulla scena internazionale mutassero con tale rapidità era davvero molto difficile da prevedere. Così, mentre ad uno ad uno crollano regimi a lungo sostenuti politicamente e finanche economicamente dalle potenze occidentali, quelle che sembravano essere consolidate alleanze si sfaldano sotto la pressione della rivolta popolare. Il modello "moderato e stabile" del bonapartismo di Mubarak e la "dittatura baciata dal consenso popolare" di Ben Alì, in pochi giorni si sono magicamente rivelate anche agli "apprendisti stregoni della diplomazia occidentale" per quello che in realtà erano già: dittature spietate, corrotte ed illiberali che comprimevano gli spazi di democrazia e sacrificavano i diritti civili della popolazione sull'altare di una presunta stabilità, mentre le grandi multinazionali "spolpavano" le risorse economiche del territorio.
Ultimo eclatante caso parrebbe (il condizionale è d'obbligo) essere quello dei rapporti fra Italia e Libia, che sembrerebbero aver subito un brusco raffreddamento dopo la decisione di Gheddafi di rispondere con una dura repressione alla contestazione del popolo. In effetti, dopo le prime dichiarazioni di Frattini (nessuna ingerenza) e la consueta gaffe di Berlusconi ("non voglio disturbare Gheddafi") e tralasciando per decenza il "Gheddafi sembra farcela" di Emilio Fede, la dura presa di posizione dell'Unione Europea ha "costretto" il nostro Governo ad esporsi in maniera diretta e (almeno sembra) determinata. La nota di Berlusconi sulla Libia, dunque, sembra non lasciare spazio ad altre interpretazioni ed in quealche modo fa almeno chiarezza su quale sia l'attuale orientamento della nostra diplomazia, anche in previsione di una inevitabile nuova ondata di sbarchi clandestini sulle nostre coste.
Ma soprattutto si tratta di un intervento importante, anche considerando le relazioni fra i due Paesi e l'enorme giro d'affari delle imprese italiane in Libia. Basti solo pensare agli interessi dell'Eni (che nelle ultime ore sta provvedendo al rimpatrio dei familiari dei propri dipendenti in Libia) che "gestisce" direttamente un gran numero di pozzi di petrolio e di fonti di gas naturale, potendo vantare su concessioni decennali e su uno stretto rapporto con la famiglia Gheddafi (che si vociferava fosse sul punto di acquisire quote consistenti del gruppo). Per non parlare dell'Ansaldo (di Finmeccanica in generale), direttamente impegnata nella fornitura di materiale per la costruzione di importanti infrastrutture, allo stesso modo della onnipresente Impregilo, che da anni "fagocita" appalti e progetti.
Nonostante ciò, però, si tratta di un cambio di opinione che non può in un colpo solo cancellare mesi, anni di "diplomazia allegra", fatta di pacche sulle spalle, rapporti personali e gesti di apprezzamento nei confronti di un dittatore che in queste ore sta confermando la sua ferocia ed il suo attaccamento al potere. Una relazione che rifletteva l'affinità elettiva fra i due leader, accomunati anche da altre e più terrene "passioni" e che ha comportato, oltre alla revisione del periodo coloniale (alla quale probabilmente andavano dedicati un rigore ed una severità finanche maggiori), anche più di un imbarazzo sulla scena internazionale. Tralasciando la pacchiana grossolanità degli incontri ufficiali (dal summit in Libia con "l'invito a cena esclusivo all'amico Silvio" alle decine di ragazze arruolate per la "lettura coranica del colonnello"), resta inciso il "Trattato di amicizia tra Italia e Libia" che riflette con precisione quale fosse la considerazione del regime libico.
Infatti, la "Ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008", approvato alla Camera il 3 febbraio del 2009 sanciva alcuni punti fondamentali nel rappporto italo – libico, al di là della forma ufficiale che recitava:
Il Trattato, volto al rafforzamento della pace, della sicurezza e della stabilità nell'area del Mediterraneo, impegna le parti a non ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza, a non ingerire negli affari interni, a ricercare soluzioni pacifiche delle controversie e a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali. L'Italia contribuirà alla realizzazione di progetti infrastrutturali, i cittadini italiani espulsi in passato potranno ottenere visti di ingresso in Libia senza limitazioni e sarà cercata una soluzione per i crediti vantati dalle aziende italiane.
In buona sostanza risarcimenti economici ed un prestigioso riconoscimento internazionale in cambio del "contrasto" all'immigrazione verso le coste italiane (senza curarsi delle denunce delle ong sulla barbarie delle carceri libiche) e soprattutto dell'incremento degli interessi delle grandi aziende italiane in Libia. Davvero troppo per essere cancellati da una semplice "nota spontanea" ed insomma, come riporta il Post:
Certo, ci sono i buoni rapporti diplomatici. Certo, ci sono gli interessi nazionali. Certo, c’è la vicinanza geografica. Ma alla fine della catastrofe libica di cui il colonnello Gheddafi si sta rendendo responsabile e suo figlio Saif complice, ci saranno paesi del mondo che potranno essere fieri di non avere foto come queste da nascondere, e paesi che invece no.