Sentenza Diaz, la Cassazione conferma le condanne. Però non paga nessuno
E' appena arrivata la sentenza della Cassazione sul pestaggio, compiuto dalla polizia alla scuola Diaz di Genova nella notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001, dove erano alloggiati centinaia di manifestanti no-global giunti da tutta Europa in occasione del G8. I giudici della quarta sezione della Suprema Corte hanno confermato tutte le condanne a carico dei 25 agenti e dirigenti di Polizia imputati. Nessuno di loro finirà in carcere comunque, data la lieve entità delle condanne comminate in Appello. Tutti infatti beneficeranno dello sconto di tre anni di indulto approvato nel 2006. Scatta, invece, la sospensione dal servizio per i poliziotti, inclusi alcuni altissimi gradi degli apparati investigativi italiani, come Francesco Gratteri, Gilberto Caldarozzi e Vincenzo Canterini.
QUESTI I NUMERI DELLA SENTENZA DIAZ – La cassazione ha deciso per la prescrizione relativamente ai reati di lesioni per i capisquadra. Confermata in via definitiva, come detto, la condanna a 4 anni all'ex vicedirettore dell'Ucigos Giovanni Luperi e al capo del dipartimento centrale anticrimine Francesco Gratteri, mentre il capo del servizio centrale operativo Gilberto Caldarozzi che allora era vice dello stesso servizio è stato condannato a 3 anni e 8 mesi. Per questi è confermata comunque la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, oltre al rischio di incorrere in sanzioni disciplinari, quali la radiazione dalla Polizia. Pena di 3 anni e 8 mesi anche per Filippo Ferri, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici, Spartaco Mortola, Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi e Massimiliano Di Bernardini. Per tutti la condanna è falso aggravato, l’unico reato scampato alla prescrizione dopo questi lunghi 11 anni. Non è così, invece, per i reati di lesioni gravi contestati ai nove agenti appartenenti, all'epoca dei fatti, al settimo nucleo speciale della Mobile. Il reato, dunque, è prescritto.
Soddisfazione dagli avvocati delle vittime. Così, l'avvocato Emanuele Tambuscio, legale di alcuni no-global picchiati alla Diaz, ha commentato il verdetto della Suprema Corte:
Giustizia è fatta: ci sono voluti 11 anni per arrivare a questo verdetto e la Cassazione è stata coraggiosa. Mai, nelle democrazie occidentali, si è arrivati ad una condanna per funzionari della Polizia di così alto livello»
STORIA DEL PROCESSO – Il faldone sull'irruzione nella Diaz è arrivato in Cassazione solo lo scorso 26 novembre, nonostante il processo d’appello si sia concluso dal 18 maggio del 2010, a causa dei rinvii e delle perdite di tempo che hanno caratterizzato le operazioni di notifica e sollevato le proteste degli avvocati delle parti lese. Ma la Corte Suprema non ha perso tempo dal momento che l’udienza è stata fissata entro il tempo medio di fissazione che è di circa sette mesi dal momento dell’iscrizione nel registro degli "arrivi". Il processo di primo grado si era concluso il 13 novembre del 2008, con 13 condanne per 35 anni e sette mesi di reclusione e l'assoluzione di chi guidava la catena di comando. In appello, invece, le condanne – emesse il 18 maggio del 2010 – colpirono anche gli uomini più alti in grado (per un totale di 85 anni di reclusione). Finora il ministero dell'Interno ha pagato circa un milione e mezzo per le prime tranche del risarcimento alle vittime e le spese legali di chi si è costituito parte civile, ossia quasi tutte le persone picchiate e arrestate.
I FATTI – Nella notte del 21 luglio di undici anni fa la polizia irrompe nella scuola Diaz dove dormivano molti manifestanti, stranieri ed italiani, per effettuare una perquisizione ai sensi dell’articolo 21 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Una perquisizione che si concluderà con 93 arresti e 82 feriti con tre prognosi riservate. All'inizio nessun capisce cosa sta realmente accadendo nella scuola. Né i rappresentanti del Genoa Social Forum, né tantomeno i giornalisti che non riescono ad avvicinarsi alla struttura. Ma poi arrivano le ambulanze che caricano i primi gravi feriti: traumi cranici, emorragie, fratture scomposte in diverse parti del corpo. Quindi le fotografie degne di un film horror: pozze di sangue per terra, gli schizzi sui termosifoni e le pareti. E le dichiarazioni, Michelangelo Fournier, all'epoca vicequestore aggiunto, definì i fatti della scuola Diaz «una macelleria messicana». A restituire attualità al caso è stato poi il film diretto da Daniele Vicari e prodotto da Fandango, Diaz – Don't clean up this blood, uscito ad aprile che ricostruisce quella sanguinosa notte, proprio sulla base delle carte del processo.