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Segnali incoraggianti dai tassi italiani, dureranno?

Dopo una giornata altalenante condizionata dall’asta di titoli a medio-lungo termine, i Btp italiani migliorano e la curva dei tassi torna a inclinarsi positivamente.
A cura di Luca Spoldi
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Monti a Bruxelles

Piccolo ma importante segnale mandato dai mercati nel giorno in cui Nouriel Roubini, “Dr Doom” come ormai la stampa ha preso a soprannominare l’unico economista in grado di prevedere correttamente l’esplodere della crisi 2008-2009 (e che da allora lancia periodicamente ripetuti allarmi di possibili ed imminenti “bis”) ha lanciato un nuovo affondo dichiarando  che con tassi stabilmente sopra il 7%  per il debito pubblico italiano non vi è altra soluzione se non una ristrutturazione “ordinata” che possa prevedere un “haircut” fino al 25%: dopo una giornata ricca di alti e bassi, condizionata dai risultati della aste di titoli a medio e lunga termine (che ha visto il tasso sul Btp novembre 2014 schizzare al 7,89%, quello del Btp marzo 2022 arrampicarsi al 7,56% e quello sul Btp settembre 2020 risultare pari al 7,28%), la curva dei tassi italiani è tornata a invertirsi positivamente, con tassi crescenti tra i 2 e i 5 anni (pari a fine giornata al al 7,10%, al 7,50% e al 7,66% rispettivamente), mentre il Btp a 10 anni rende stasera il 7,24% e offre un sovra rendimento (spread) rispetto ai Bund tedeschi di pari durata di 491 punti base, dopo che sono tornate a circolare ipotesi di un intervento congiunto Ue-Fmi a favore dell’Italia e della Spagna.

Un’ipotesi che per la verità sembra più una voce fatta circolare ad arte per calmare i mercati, visto che secondo Barclays Capital per salvare contemporaneamente Italia (che già nei prossimi cinque mesi vedrà arrivare a scadenza non meno di 180 miliardi di euro) e Spagna sarebbero necessari aiuti per 963 miliardi di euro nei prossimi tre anni, cifra di cui l’Fmi non dispone (si stima che l’organizzazione guidata da Christine Lagarde possa al più mettere in campo 300 miliardi di euro di aiuti), come non ne dispone il fondo “salva stati” Efsf (che ha circa 240 miliardi di euro di risorse residue e che dovrebbe essere levereggiato non più di 4 volte a mille miliardi ma di “sole” tre volte a poco più di 650 miliardi, sempre che si trovi l’accordo tra Germania e Francia). Il che probabilmente richiederebbe che a finanziare l’Fmi che finanzierebbe poi Roma e Madrid dovrebbe essere la Bce: un modo molto arzigogolato per evitare di dichiarare ufficialmente quello che Berlino non vuole neppure sentire dire ma che di fatti già accade, ossia che Eurotower sia il prestatore di ultima istanza dei governi in difficoltà.

Governi a cui Berlino chiede come precondizione per ogni ulteriore aiuto, diretto o indiretto che sia, di sottoscrivere nuove e più stringenti regole relative alla gestione dei conti pubblici e che porterebbero ad una maggiore integrazione politica, economica e fiscale dell’Eurozona. Un risultato che potrebbe far comodo a molti, in Europa ma non solo, visto che nel frattempo, per sostenere una crescita che le manovre in via di approntamento in Italia e nel resto del Sud Europa rischiano di affossare ulteriormente a breve periodo prima di rilanciare (si spera) a medio termine, potrebbe essere “necessario” lasciar riapprezzare il dollaro nei confronti dell’euro. Un’ipotesi che sotto sotto non dispiace ad Angela Merkel, da sempre convinta che la “via tedesca” (fatta di rigore monetario e fiscale e di crescita attraverso le esportazioni più che attraverso la domanda interna) sia la ricetta giusta per i “lazzaroni” del Sud Europa, ma non dispiace neppure ai grandi capitali internazionali, a partire dalle banche centrali asiatiche, dato che buona parte dei loro investimenti erano in dollari ed in questi anni hanno subito maggiori contraccolpi dal calo del biglietto verde che non benefici dall’apprezzamento dell’euro (ancora presente in misura esigua nei loro portafogli).

Se poi tutto questo dovesse dare spazio a una ristrutturazione autentica e “virtuosa” del settore dei servizi e delle grandi infrastrutture in Europa, aprendo al contempo spazio a capitali internazionali (ad esempio tramite la partecipazione di fondi sovrani come il China Investment Corporation che già ha detto di essere interessato a investire nel nuovo piano infrastrutturale britannico) tanto di guadagnato per tutti. Per tutti? Più o meno, perché a pagare dovrebbero essere i contribuenti dei paesi “lazzaroni” del Sud Europa. Col rischio che le solite “cricche” e lobbies di ogni colore riescano ancora una volta a scaricare il peso sulle spalle altrui e trarre il massimo dei benefici col minimo sforzo. Per evitare questo occorrerebbe una maggiore coscienza civile dei tax payer italiani (e una seria lotta all’evasione senza la quale ogni discorso di rinnovamento e riqualificazione della spesa è destinato a rimanere scritto sull’acqua), in grado di “obbligare” a comportamenti virtuosi anche i propri governi e il proprio apparato pubblico.

Qualche dubbio purtroppo è lecito al riguardo, se non altro perché nonostante si parli di misure “draconiane” in grado di ridurre di 70 miliardi netti il deficit pubblico italiano e limare il rapporto debito/Pil (attualmente al 120%), a molti è sfuggito che le entrate aumenteranno di 115 miliardi e le spese di 45 miliardi. E siccome di solito le spese aumentano più del previsto e (specie in recessione) le entrate a volte meno dell’auspicato, se si tollererà ancora l’evasione e non si ridurranno le spese superflue, gli sprechi e le rendite di posizione (senza voler naturalmente scaricare il peso di una simile manovra sulle spalle dei più deboli), si rischia di non approdare a nulla ,con o senza l’intervento dell’Fmi. Così in fondo sarà meno divertente della ricetta dell’”ottimismo berlusconiano”, ma il grigiore del governo Monti, “filoguidato” dalla Germania e dalle grandi “lobbies capitalistiche” internazionale secondo i suoi detrattori, sembra un male inevitabile finché gli italiani non saranno “diventati adulti” ed in grado di non farsi buggerare a vantaggio di pochi. Come, per inciso, potrebbe capitare a dare ascolto a certi “patriottici” inviti a sottoscrivere titoli di stato risparmiando lo 0,3% di commissioni in cambio del rischio di un “haircut” che se anche non sarà del 25% come dice Roubini è comunque un’ipotesi remota ma non impossibile di cui sarà meglio tener conto prima di farsi prendere da facili entusiasmi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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