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Sea Watch, Toninelli: “Non sbarca da noi”. Salvini: “Se ne frega delle leggi e delle vite”

Il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ha ribadito da Palermo la posizione del governo italiano sulla Sea watch 3: “Aveva ricevuto da parte della guardia costiera libica il segnale di coordinamento delle operazioni. Purtroppo hanno deciso di voltarsi dall’altra parte e di andare a Nord verso l’Italia, cosa che per il diritto del mare non va bene”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Ottavo giorno in mare per la nave dell'ong tedesca Sea Watch, che batte bandiera olandese. L'odissea della Sea Watch 3 e dei 43 naufraghi salvati ormai più di una settimana fa, non si è ancora conclusa. La nave è ancora ferma a circa 15 miglia da Lampedusa, fuori dalle acque territoriali italiane. L'ultimo atto della vicenda riguarda il ricorso presentato al Tar del Lazio: l'organizzazione umanitaria si era rivolta d'urgenza al tribunale amministrativo per contestare il divieto di ingresso in acque territoriali e il ‘no allo sbarco', contenuto nel provvedimento emesso dal ministro degli Interni Matteo Salvini. Nell'istanza cautelare l'ong chiedeva, in particolare, la sospensione d'urgenza della direttiva del 13 giugno e del divieto d'ingresso controfirmato dai ministri Toninelli e Trenta il 15 giugno. Oggi la stessa ong ha chiarito che il Tar non ha rigettato nel merito il ricorso presentato dal team legale della Sea Watch 3: "Significa che non si è pronunciato sulla legittimità del provvedimento, ma si è limitato a respingere temporaneamente gli effetti del provvedimento in questione", e cioè il primo provvedimento del Viminale che discende dal decreto Sicurezza Bis.

"Abbiamo portato sul suolo italiano le persone che si trovavano in difficoltà e in stato precario di salute. Significa che l'umanità e il senso di aiuto in Italia non vengono mai meno, ma dopo vengono la legalità e la sicurezza". Il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, intervenuto da Palermo sulla vicenda, si riferisce allo sbarco autorizzato sabato 15 giugno per 10 persone che erano a bordo, perché versavano in pessime condizioni di salute. Ma per le altre non sembra al momento che ci siano aperture da parte del governo italiano. "La Sea Watch aveva ricevuto da parte della guardia costiera libica il segnale di coordinamento delle operazioni – ha proseguito il ministro pentastellato – purtroppo hanno deciso di voltarsi dall'altra parte e di andare a Nord verso l'Italia, cosa che per il diritto del mare non va bene e di conseguenza non possono approdare in Italia". Poco prima aveva spiegato che "per chi viola le regole, i porti rimangono chiusi al cento per cento", riferendosi appunto all'applicazione del decreto Sicurezza Bis.

Anche Matteo Salvini, durante una diretta Facebook, si è associato alle parole del collega: "Un saluto all'equipaggio della Sea Watch che delle leggi se ne frega ma in Italia non si arriva. Se ne fregano delle leggi e anche delle vite perché sono da giorni nel Mediterraneo: sarebbero arrivati in Tunisia o in Olanda, in Italia no". 

L'Oim lancia un appello per la Sea Watch 3

L'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni lancia un appello "affinché sia garantito quanto prima un luogo di sbarco sicuro per migranti soccorsi lo scorso 12 giugno nel Mediterraneo dalla nave SeaWatch3". Sebbene la SeaWatch3 sia stata invitata a effettuare rotta verso Tripoli dopo il salvataggio, "occorre ricordare come la Libia sia ancora internazionalmente considerata un porto non sicuro dove sbarcare i migranti".

Secondo Federico Soda, direttore dell'Ufficio di Coordinamento Oim del Mediterraneo "La situazione nel paese resta ancora estremamente pericolosa a cause dei violenti scontri militari che anche in questi giorni stanno continuando intorno alla capitale e che dall'inizio di aprile hanno causato oltre 90.000 sfollati. Si tratta di un contesto molto drammatico, confermato anche dai migranti sbarcati recentemente in Italia". E lancia l'allarme sull'assenza totale di diritti per i migranti che vengono trasferiti nei centro di detenzione libici. "Suscita inoltre grave preoccupazione che in assenza di interventi da parte dei governi per ridurre i morti in mare, le operazioni di soccorso delle organizzazioni non governative siano deliberatamente scoraggiate. In realtà il tratto di mare che separa il Nord Africa dall'Europa è ancora il punto in cui muoiono più migranti nel mondo. Nel corso dell'ultimo anno – dal 12 giugno 2018 all'11 giugno 2019 – sono infatti 1.151 le persone che hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo Centrale e, a fronte di un calo di arrivi di circa l'80 % rispetto all'anno scorso, sono ben 343 i migranti morti in mare nei primi 5 mesi e mezzo del 2019″.

"Alla luce di questi dati – prosegue la nota – e considerando che nel corso dell'estate le partenze aumentano, invece di penalizzare i comandanti che soccorrono le persone i mare o che si rifiutano di portarle in un porto non sicuro come la Libia, occorrerebbe dare priorità assoluta al salvataggio di vite e rafforzare un sistema di pattugliamento internazionale che possa aiutare in modo efficace le barche in difficoltà. È necessario, oggi più che mai, che gli Stati membri dell'Unione europea facciano uno sforzo condiviso per trovare soluzioni adeguate a quella che, dati alla mano, non può essere definita un'emergenza sbarchi in termini numerici, ma bensì una grave crisi umanitaria".

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