«Se torniamo a elezioni per il veto a Savona quelli pigliano l'80%», dice Massimo D'Alema intercettato dalle telecamere mentre discute con Pietro Grasso al margine dell'assemblea di Liberi e Uguali e il pensiero dalemiano in fondo coincide con la speranza malcelata di chi, Salvini e Di Maio in testa, sa di essere nella comoda posizione win-win: comunque vada sarà un successo. La narrazione, qualunque sia l'esito finale, funziona: se si farà un governo Lega e Movimento 5 Stelle potranno raccontare quanto ce l'abbiano messa tutta per trovare un accordo per il bene del Paese e per dare finalmente un governo all'Italia nonostante le ingerenze dell'Europa e del Presidente della Repubblica (che d'ingerente a ruolo sancito dalla Costituzione ma non è il tempo di conoscere la Costituzione, questo); se invece decideranno (e sarà una decisione presa con la furbizia di chi fa marketing più che politica) di andare al voto sventolando l'impossibilità di superare i veti dei poteri forti potranno apparire come quelli che ce l'hanno messa tutta ma sono stati ostacolati in tutti i modi e hanno quindi bisogno di una più ampia affermazione elettorale. E l'avranno.
Diceva una caro amico e valido giornalista che la storia che funziona meglio è sempre la stessa: trovarsi di fronte a un ostacolo con la capacità di raccontarlo cattivo e negativo, empatizzare con il proprio pubblico nel ruolo del guerriero solitario contro il nemico complesso e riuscire a superarlo per il bene comune più che per il proprio. Se poi il cavaliere è pieno di macchie e se il suo nemico sta agendo nell'ambito della Costituzione questo non conta: la banalizzazione del racconto nasconde i particolari. A posto così.
Negli ultimi giorni assistiamo addirittura a due narrazioni opposte e contrarie che pure vanno lisce come l'olio. Da una parte abbiamo il nuovismo di Giuseppe Conte, acclamato perché non ha esperienza politica (dicono loro) e perché non avendo mai frequentato i palazzi del potere risulta affabile e affidabile (in sostanza un tecnico, nient'altro che un tecnico come quelli tanto odiati quando facevano riferimento ad altri) e contemporaneamente gli stessi feticisti del nuovismo ci ammorbano con la fulgida carriera di Paolo Savona che dovrebbe piacerci perché di comprovata esperienza (è stato presidente di Impregilo, di Gemina, degli Aeroporti di Roma, è stato consigliere di amministrazione di RCS e TIM Italia, presidente della Banca di Roma nonché ministro de governo Ciampi e dirigente nel terzo governo Berlusconi, solo per citare alcuni ruoli). Due personaggi opposti che piacciono alle stesse persone per opposti motivi: sembra schizofrenia e invece è una paraculata grossa come una casa.
Ma se non si riuscirà a smontare la narrazione truffaldina (e temo che non si riuscirà) alla fine rimarranno solo le scorie degli eroi senza macchia e dell'ostacolo dei poteri forti e sì, come dice D'Alema, Di Maio e Salvini rifaranno il pieno dei voti. Il finale però è già scritto: non sono i pochi voti a permettere al Presidente della Repubblica di agire come agisce ma la Costituzione. È il Presidente della Repubblica (e non Di Maio e non Salvini, nemmeno con il 100% dei voti) ad avere l'ultima parola sui ministri (e che strazio la "lista da presentare al Colle senza se e senza ma" di cui si legge in queste ore) e sarà così anche dopo le eventuali elezioni di ottobre. Fine della farsa, fine della narrazione.
A proposito: perché nessuno si strusse quando a essere tagliato dalla lista dei ministri fu un magistrato come Gratteri? Perché erano gli altri, ovvio, no?