È un miracolo che gli Scavi di Pompei, il sito archeologico più visitato d'Italia, esistano ancora. Crollano i muri, spariscono gli affreschi, ma è davvero un miracolo che siano arrivati a noi e abbiano resistito non ai millenni passati ma agli ultimi dieci anni di politica italiana. Si sono avvicendati presidenti del Consiglio, ministri della Cultura, presidenti della Regione Campania, sovrintendenti, commissari straordinari, assessori regionali al Turismo. Abbiamo ascoltato ogni promessa, ogni piano, ogni colossale cretinata per anni e anni e nonostante le assicurazioni, le garanzie, le «svolte» annunciate, Pompei è sempre più la Grande Bellezza miserabile e cadente, in mano a pochi incapaci e a tanti che continuano a spremere quel che resta del limone. Del resto, finquando resiste. Breve cronistoria di un mare di promesse, di passerelle e di bugie. È il dicembre del 1996: Walter Veltroni, ministro per i Beni Culturali, nel governo di Romano Prodi, va in visita all'ombra del Vesuvio. «Non sono contento di come si presenta il nostro maggior monumento archeologico – dice – vi sono molte strutture a rischio, manca del tutto un'adeguata informazione per i visitatori dei singoli monumenti, così come non vi sono servizi aggiuntivi per rendere più gradevole la visita e garantire alla soprintendenza introiti straordinari. L'impegno del governo è quello di garantire entro tre anni una serie di interventi che contribuiscano a migliorare la visita e a conferire al monumento un'autentica dignità internazionale. "Bisogna rivolgersi ai mercati finanziari, con "appropriate operazioni di ingegneria finanziaria", dirà poi, nel 1997. Il governo Prodi nel 1998 come molti ricorderanno, cadde. Nel 1999, esecutivo guidato da Massimo D'Alema, il ministro ai Beni Culturali è Giovanna Melandri, quello dell'Interno è Rosetta Iervolino che poi qualche anno dopo sarebbe ritornata all'ombra del Vesuvio, ma da sindaco. Entrambe annunciano in pompa magna – è il 19 novembre del 99 – che "Un occhio telematico sorveglierà l'area archeologica di Pompei". Viene firmato un protocollo d'intesa visto il Giubileo del 2000 e il grande numero di pellegrini che giungeranno a Pompei per garantire sicurezza. E infatti, oggi, 15 anni dopo, spariscono gli affreschi dai muri.
Gli anni Duemila: il governo Berlusconi e le promesse su Pompei
È il 2002 quando col governo guidato da Silvio Berlusconi il ministro per i Beni culturali Giuliano Urbani, annuncia che sarà ‘cucito' un ‘vestito su misura' per la gestione degli scavi archeologici di Pompei "per una sovrintendenza speciale che è un poco più speciale delle altre". Urbani visita la città sommersa durante l'eruzione del Vesuvio del 79, insieme ad Ercolano, Stabiae ed Oplonti insieme all'allora governatore della Campania, Antonio Bassolino. E annuncia un piano di interventi e risorse mirate per gli Scavi "Insomma – dice – per Pompei non va bene la ‘taglia unica' merita un vestito su misura, ma sarà fatto tutto con i suggerimenti e l'esperienza di chi deve operare. L'importanza di Pompei è tale che si può può pensare ad esempio a ‘leggine speciali'". Qualche annetto dopo è Rocco Buttiglione il ministro e il premier è sempre Berlusconi. L'ex Dc viene a sapere di abusi edilizi all'interno dell'area archeologica e di ben 130 milioni di euro stanziati e mai investiti dalla Soprintendenza degli Scavi. "S'indigna e si sdegna" per dirla alla Fabrizio De André e annuncia inchieste interne, verifiche, eccetera. "Non cederemo a ricatti" fa sapere il suo staff al ministero. Altre parole al vento. Nel 2006 il governo è di centrosinistra. Era luglio e l'esecutivo di Romano Prodi esprimeva quale vicepresidente del Consiglio e ministro ai Beni Culturali Francesco Rutelli. Il "bello guaglione" della Margherita era in quel della Campania per un avvenimento di primissimo piano: partecipare al matrimonio del figlio del ministro alla Giustizia, Clemente Mastella. In quella occasione pensò bene di allungarsi agli Scavi archeologici di Pompei per incontrare sindacati, dipendenti e perfino farsi qualche foto ricordo coi turisti. Rutelli ascolta le lamentele dei lavoratori che preconizzano il disastro che poi sarà. Poi va via: il matrimonio del rampollo Mastella non può attendere. Una manciata di mesi e cambia ancora il ministro e il governo: nel 2008 torna Silvio Berlusconi e con lui c'è Sandro Bondi ai Beni Culturali. Il 4 luglio 2008 viene dichiarato lo stato di emergenza per Pompei con un provvedimento di un anno reso necessario "dal perdurante stato di incuria e degrado in cui versa ormai da lungo tempo il sito" e "per intervenire con mezzi e poteri straordinari a difesa dell'immenso patrimonio artistico, minacciato da crescenti e gravi criticità". La situazione resta drammaticamente la stessa, anzi nel corso degli anni la magistratura accende i riflettori su sprechi e mancanze. Nel mese di giugno del 2011 il ministro ai Beni Culturali, sempre con Silvio Berlusconi, è il veneto Giancarlo Galan. Che dà il via libera al programma da 105 milioni di euro per il rilancio di Pompei annunciando una mappatura degli Scavi. L'Università Federico II di Napoli però attacca: anziché spendere 8,2 milioni usate i nostri lavori – dice la facoltà di Architettura – che in gran parte hanno già mappato l'area. Il piano da 105 milioni di euro è articolato in cinque fasi di intervento che hanno l'obiettivo di risollevare le sorti del museo all'aperto più visitato d'Italia e fra i primi in Europa. "A Pompei l'emergenza non finirò mai", fa notare Galan. Almeno in questo aveva ragione. Infatti continuano a crollare antichissimi muri, Pompei continua a cedere. Sempre nel 2011 il commissario europeo Joannes Hahn rassicura: verrà per presentare il programma organico di intervento per la salvaguardia del sito, 105 milioni di euro dell'Europa sono pronti. E quei soldi a cosa sono serviti? In quel periodo il sottosegretario ai Beni Culturali è Riccardo Villari, il re del cambio delle casacche in Parlamento. "Bisogna mantenere la testa fredda e non correre" avverte il sottosegretario, facendo riferimento al cambio di uomini all'interno della soprintendenza che avrebbe dovuto tutelare il gioiello delle aree archeologiche d'Italia.
I governi Monti, Letta e Renzi: tante chiacchiere sugli scavi di Pompei.
Nel dicembre 2012 il ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca del governo di Mario Monti va a Pompei e afferma: "L'area che non è l'obbrobrio che tutti descrivono. Entro prossimo mese di gennaio via ai primi due cantieri del progetto Pompei, dimostreranno come l'Italia non è stata grande solo più di duemila anni fa ma lo è anche adesso. Entro il 2015 si potranno vedere cose non accessibili al pubblico ma soprattutto si realizzeranno opere di riqualificazione eliminando i problemi alla radice, come nel caso delle infiltrazioni d'acqua che minano la solidità delle mura". Qualcosa è evidentemente andata storta se continua a cadere tutto. Massimo Bray, ministro ai Beni Culturali col senatore a vita Monti, sprizza ottimismo da tutti i pori (luglio 2013): "Le risorse ci sono, i progetti sono pronti, le gare in corso". E come mai crolla ancora tutto? Passano gli anni, passano i governi e i ministri e resta tutto uguale. Crollano altri tre muri antichi, sparisce un altro affresco e il nuovo ministro del nuovo governo di Matteo Renzi, Dario Franceschini, ammonisce: "Pompei? L'Europa ci guarda ma noi faremo bene il nostro lavoro e restituirla al mondo". Faranno bene il loro lavoro. E se lo faranno come i precedenti toccherà tornare fra gli scavi millenari di Pompei e scattare molte foto: fra qualche anno, l'area archeologica, visti i presupposti, potrebbe non esserci più.