Savina Caylyn: l’ennesimo messaggio di aiuto del capitano Lubrano Lavadera
Il silenzio degli ultimi giorni lasciava ben sperare. La trattativa tra i pirati somali, l'armatore della società D'Amato e la diplomazia italiana era stata nuovamente imbastita, dopo giorni in cui dal corno d'Africa arrivavano notizie sconcertanti sulle condizioni dell'equipaggio della Savina Caylyn. A chi non avesse seguito la vicenda sin dagli albori, ricordiamo che la Savina Caylyn è una motocisterna, atta al trasporto del petrolio, di proprietà della società napoletana D'Amato che dall'8 febbraio scorso è ostaggio dei pirati, che l'hanno attaccata nei pressi delle coste somale. Secondo le indiscrezioni, durante questi mesi la trattativa tra l'armatore e i predoni del mare è stata piuttosto intermittente e anche stavolta, dopo diversi giorni di silenzio, l'equipaggio della Savina Caylyn torna a farsi sentire, segno che i pirati non sono contenti di quanto proposto loro dalla diplomazia del nostro Paese.
Libero Reporter ha sentito ancora una volta il capitano della Savina Caylyn, Giuseppe Lubrano Lavadera; ecco alcuni stralci dell'appello:
Dall'8 febbraio, noi, l'equipaggio, 5 italiani e 17 indiani, e le nostre famiglie siamo caduti in un profondo stato di angoscia e frustrazione. L'equipaggio è stato confinato tutto sul ponte di comando ed è continuamente sorvegliato e sotto tiro di armi automatiche. […] Al minimo avvicinarsi di navi militari o di elicotteri, veniamo ulteriormente minacciati di morte e usati come scudo umano
Non c'è pertanto nessun altra strada percorribile se non il negoziato da parte della nostra compagnia armatoriale e l'azione diplomatica dello stato di bandiera. A tutt'ora sono trascorsi quasi 4 mesi e la situazione è ancora in stallo. Ora, dopo aver già trasferito 3 connazionali a terra dal 18 maggio, i pirati minacciano di trasferire a terra il Direttore di Macchine e tre indiani pr porre ulteriore pressione sulla nostra società armatoriale, ultimatum che scadrà domani pomeriggio.
I pirati però hanno assicurato che i nostri 3 connazionali a terra (Guardascione, Bon e Cesaro) sono vivi e sono nascosti un posto che solo la "piramide" conosce. Sicché la situazione è ancora riparabile, la nostra sopravvivenza dipende dall'accordo tra compagnia e pirati. Il restante equipaggio è esausto, sia dal punto di vista mentale, che fisico. […] In caso di emergenza non abbiamo possibilità di muovere la nave o fronteggiare eventuali incendi. […]I medicinali sono finiti.
Noi siamo riuniti in preghiera, che è l'unica cosa che ci dà sollievo.[…] Ringraziamo il Santo Padre per il suo interessamento, e per aver pregato tanto per noi. Siamo fiduciosi che la diplomazia del nostro governo italiano riuscirà a risolvere la situazione, come ha sempre dimostrato di saper fare, evitando l'inutile dispendio di vite umane. Confidiamo nell'aiuto e nella bontà delle persone che ci governano.[…] Possano essere loro illuminai da Nostro Signore, in modo da risolvere al più presto possibile la nostra tragedia umana. umilmente chiediamo pietà e aiuto al popolo italiano tutto, alla Santa Sede e a tutte le istituzioni politiche per porre fine pacificamente a questa triste vicenda.
Il più giovane dell'equipaggio mi ha chiesto:- Comandante, perché è successo tutto questo a noi, poveri innocenti lavoratori? Quando potrò riabbracciare i miei cari? Gli ho risposto di avere coraggio e fede in Dio, e di confidare nel buon cuore del popolo italiano. Ha sorriso un pò, poi ha continuato ha guardare nel vuoto, verso il suo orizzonte di libertà.
Infine, vogliamo dire che in altri casi, durante la nostra prigionia qui, sono state rilasciate altre navi mercantili di altre nazioni: Grecia, germania, Giappone, India e due marittimi spagnoli. Il tutto è stato fatto seguendo le istruzioni, non ci sono stati problemi: si è avuto l'accordo con i pirati da parte dei pirati con la società e non c'è stato il dispendio di nessuna vita umana.
E' l'ennesima richiesta di aiuto che si aggiunge al fax di cui abbiamo riportato il testo integrale qualche settimana fa e alla lettera di Adriano Bon, padre di Eugenio, uno dei 3 marittimi nel deserto. Non resta che augurarsi che, almeno stavolta, dopo quasi 4 mesi di sequestro, la questione possa arrivare alla sua soluzione.