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Salto in alto: i record di Sotomayor e Kostadinova si possono battere?

Fa notizia il 2.37 di Tamberi a Eberstadt. Ma i primati del mondo nel salto in alto sono tra i più longevi dell’atletica leggera. Nessuno ha più superato il 2.45 di Sotomayor del 1993. E al femminile resiste ancora il 2.09 di Kostadinova ai Mondiali di Roma 1987. Siamo al limite?
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Come Sara Simeoni. Gianmarco Tamberi ha fatto volare il salto in alto italiano al maschile dove mai era arrivato prima. Ha aperto le porte di una nuova dimensione con quel 2.37 stampato al meeting di Eberstadt che gli vale la terza prestazione mondiale stagionale. Con il look “mezza barba” ormai celebre, figlio e nipote d'arte (nonno Bruno saltava 1.86 già nel 1939, papà Marco era nella nazionale olimpica a Mosca), Tamberi diventa l'uomo-copertina verso i Mondiali di Pechino.

Tamberi, l'azzurro da battere a Pechino

E i numeri lo confermano. Solo sei atleti in attività sono saliti più di lui. "Una misura del genere è qualcosa di straordinario, ma dentro di me quest'anno più di una volta avevo sentito di poterla valere” ha spiegato. E la mente torna soprattutto al 2.28 di Buhl dello scorso 28 giugno, con un passaggio molto alto sopra l'asticella. “Ora un paio di giorni di relax e poi giù a testa bassa fino a Pechino. Fare ai Mondiali quello che ho fatto qui potrebbe significare qualcosa di molto importante” raccontava. “Devo solo trovare la giusta stabilità e non portarmi dietro troppi errori”. Ma l'entusiasmo per la misura dell'azzurro apre una riflessione più ampia: perché dal 1993 non si supera il record del mondo, il 2.45 di Sotomayor? E come mai, nel salto in alto femminile, resiste ancora dai Mondiali di Roma del 1987 il primato iridato della bulgara Stefka Kostadinova?

Il ventrale e Brumel – È George Horine, ai Trials per le Olimpiadi di Stoccolma, il primo a lanciare la progressione al maschile sopra i due metri. L'americano ha inventato lo stile western Roll, paradigma della disciplina prima dello scavalcamento ventrale, lo “straddle”: rispetto al salto “a forbice”, si stacca con la gamba interna e si passa l'asticella con i piedi e il busto guardando verso il basso. È la tecnica del leggendario Valerij Brumel, il più grande saltatore di sempre con Sotomayor. Brumel appare come un'illuminazione sulla scena sportiva dopo John Thomas, capace di alzare il primato del mondo di sei centimetri, da 2.16 a 2.22, tra aprile e luglio del 1960. L’immagine che resta di Brumel è la foto scattata mentre sta dando un calcio al nastro del canestro in una palestra di Mosca, poco sopra i tre metri. Anticipatore, simbolo moderno prima ancora della modernità, firmerà tre dei sei record del mondo nei meeting tra Usa e Urss, in quei capitoli sportivi della Guerra Fredda negli anni della crisi dei missili di Cuba e della corsa allo spazio.

Arriva Fosbury – Il dopo Brumel, che si è ritirato a 23 anni per un incidente stradale, inizia a Messico ’68, quando l’altoparlante annuncia: “Con il numero 272, per gli Stati Uniti d’America, si appresta a saltare Richard Fosbury, Dick per gli amici”. Dick, che ha una scarpa bianca e una blu, salta di schiena e firma uno dei momenti indelebili nella storia olimpica, come l’oro di Bikila scalzo al Colosseo o il primo 10 di Nadia Comaneci. Nel ’70 il cinese Ni Chi Chin batte il record di Brumel, che ha resistito sette anni, ma il primato non viene inizialmente non omologato perché la Cina non faceva parte del CIO e quindi della IAAF. Quindi, per la federazione internazionale, è Pat Matzdorf, saltatore Usa a cancellare Brumel con il 2.29 al meeting Usa-Urss dell’estate 1971, pochi mesi prima dell’oro ai Giochi panamericani.

L'ultimo bohemien – Per la vera rivoluzione, serve aspettare l’estate del 1973. Dwight Stones, bronzo ai Giochi di Monaco (sarà terzo anche sulla pedana fradicia di Montreal), supera un limite che sembrava invalicabile: è il primo uomo a saltare 2.30 metri, e firma il primo record del mondo col metodo Fosbury, che poi migliorerà fino a portarlo ai 2.32 all’Olympiastadion di Monaco. Il cambio di paradigma è completo, con una sola, splendida e drammatica, eccezione. L’atletica sta per essere illuminata dalla stella fulgida e decadente di Vladimir (Volodja) Yashchenko, il sovietico biondo e bohemien che in un incontro juniores tra Usa e Urss nel 1977 salta 2.33… col ventrale! La sua carriera si esaurisce tra quel meeting e i due titoli europei di Praga ’78 e Vienna ’79: in mezzo tre record del mondo e il primato del salto più alto di sempre con lo straddle. Morirà in povertà, claudicante e alcolizzato.

Dalla Cina con furore – Il record cade nella tarda primavera europea. Il 25 maggio 1980 il polacco Wszola porta il record del mondo a 2,35 metri. Il giorno dopo il primato è già eguagliato, dal tedesco Moegenburg. Ma è dall’altra parte del muro, dalla Germania Est, che arriva Gerd Wessig, oro con 2.36 ai Giochi boicottati di Mosca, prima di tentare i 2.38 con l’asticella beffarda che, solo sfiorata, cade giù. Il sup primato resiste per quasi tre anni, superato ancora da un cinese, Zu Jianhua, capace di saltare 2,37 nel maggio 1983 e di migliorarsi a Eberstadt, santuario dei concorsi nella Germania Federale. In una gara di livello stellare, supera gli sfidanti tedeschi al trono mondiale, Thranhardt e Moegenburg, e vola a 2.39 che lascia presagire la caduta di un altro muro, distante solo un centimetro.

I nuovi sovietici e Sotomayor – Il mondo si aspetta il salto a 2.40. E lo avrà. Ma nessuno avrebbe mai pensato che il primo a riuscirci sarebbe stato Rudolph Povarnitsin, che nella calda estate del 1985 a Donetsk si migliora di 14 cm, passando dai 2.26 ai 2.40, prima di prendersi il bronzo olimpico a Seoul e sparire. La scuola sovietica resta di primissimi piano e Igor Paklin ritocca il primato dopo meno di un mese: salta 2.41 alle universiadi di Kobe, in Giappone, prima di vincere un argento mondiale a Roma e il titolo europeo a Stoccarda nel 1986. Il record di Paklin resiste fino all'estate del 1987 quando Patrick Sjoberg fissa il limite a 2,42 metri. La stessa misura, ai limiti del leggendario, valsa al tedesco Carlo Thranhardt, a Berlino il 26 febbraio 1988 il primato mondiale indoor e spinto l’anno scorso Ivan Ukhov dove solo osano le aquile. A un centimetro dalla gloria. A un centimetro da un record ormai chimerico, il 2.43 di Javier Sotomayor, il cubano che ha sconfitto la gravità, salito 21 volte sopra i 2.40, più di tutti gli altri che ci siano riusciti messi insieme. Dal 2.45 del 27 luglio 1993 a Salamanca, il mondo ha smesso di volare.

Sara Simeoni – Al femminile, la progressione sopra i due metri è durata lo spazio di un decennio. È una corsa al cielo che inizia il 26 agosto 1977 all’Olympiastadion di Berlino grazie alla tedesca Rosy Ackermann, che indossava una benaugurante maglia col numero 20 e rimane l’ultima atleta a vantarsi del record del mondo con la tecnica ventrale. Un anno dopo, la storia diventa cronaca e memoria, diventa anniversario di una data che ha cambiato la percezione dello sport femminile in Italia. Merito del 2.01 di Sara Simeoni in un meeting femminile inizialmente poco considerato tra Italia e Polonia a Brescia, a meno di un mese dagli Europei di Praga.

Breve corsa al cielo – Il primato resiste quattro anni, fino al 2.02, a Atene, di Ulrike Meyfarth, che poi si migliorerà di un centimetro, a Londra. Ma alla stessa misura arriva anche la sovietica Tamara Bykova, che si migliora tre volte in meno di un anno e a Kiev, nel 1985, supera i 2.05. Sembra l’inizio di una lunga rincorsa, è l’inizio della fine. Il 2.09 della bulgara Stefka Kostadinova, stabilito ai Mondiali di Roma del 1987, teatro per di più di uno dei duelli più spettacolari di sempre nell’asta, è rimasto un traguardo impossibile da raggiungere. Nel 2007 la russa Chicherova ha toccato i 2.07, nel 2009 la croata Blanka Vlasic è arrivata a 2.08. Questione di centimetri, che fanno la differenza tra una vittoria e un posto nella storia.

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