Gli analisti finanziari e gli investitori azionari non sono solitamente soggetti facilmente emozionabili, altrimenti non potrebbero operare efficacemente, ma certe volte perdono la pazienza anche loro e si comportano di conseguenza. Così in una mattinata in cui i listini europei recuperano terreno in attesa di sentire, mercoledì 19 giugno prossimo, come il numero uno della Federal Reserve, Ben Bernanke, intende affrontare il problema del “tapering” (il processo di graduale rallentamento degli acquisti di titoli di stato e mutui cartolarizzati sul mercato, che da tempo la banca centrale statunitense porta avanti al ritmo di 85 miliardi di dollari al mese, contribuendo assieme alla Bce e alla Bank of Japan, nonché in minor misure alla Bank of England, a “drogare” i mercati finanziari immettendo costantemente liquidità per miliardi di euro/dollari/yen nel tentativo di riattivare il credito, per ora con successi molto parziali), il titolo Saipem viene letteralmente buttato dalla finestra dagli investitori e cede un quarto del proprio valore. Perché?
Perché per la seconda volta nel giro di quattro mesi e mezzo la società, controllata del gruppo Eni attiva nel settore dell’esplorazione petrolifera, ha lanciato un “profit warning”, tagliando pesantemente le stime sui risultati 2013. Secondo gli ultimi calcoli diffusi venerdì sera a mercati chiusi, infatti, l’Ebit 2013 (ossia il risultato operativo) è stato tagliato di 650-750 milioni di euro (ed è quindi atteso ora tra zero e 100 milioni rispetto al precedente obiettivo di 750 milioni), mentre il risultato netto è visto in perdita per 300-350 milioni (a inizio anno ci si attendeva ancora 450 milioni di utili). Un annuncio che gli analisti di Websim definiscono stamane “scioccante” anche perché il debito netto a fine 2013 è atteso ora tra 4,9 e 5,1 miliardi (dai precedenti 4,3 miliardi), tanto che gli analisti preannunciano una revisione (presumibilmente al ribasso) della raccomandazione sul titolo e del prezzo di equilibrio calcolato per lo stesso.
Come mai si è arrivati a questa debacle? Secondo la società le cause principali sono legate ai crescenti problemi in Algeria (con un impatto negativo stimato pari a 350 milioni), ai problemi su due contratti in Messico e Canada (il cui impatto negativo è di altri 260 milioni) e a problemi tecnici su due mezzi navali. Quasi la classica “nuvola nera” di fantozziana memoria che si abbatte sulla società per la seconda volta in pochi mesi. In compenso per il 2014 Saipem ribadisce di attendersi un “forte recupero” dei margini di profitto, ma il problema a questo punto è capire se e quando gli investitori torneranno a fidarsi di un management che ha toppato clamorosamente le previsioni per due volte in pochi mesi. Gli analisti del Credit Suisse, ad esempio, hanno intitolato un report dedicato stamane al titolo “C’è un (altro) buco nelle mie tasche”, confermando il giudizio di underperform (farà peggio del mercato) e tagliando il prezzo obiettivo da 22 a 16 euro per azione, oltre che segnalando, anche loro, “un ulteriore ribasso shock” delle previsioni sui risultati 2013.
L’effetto di queste continue revisioni, secondo gli esperti rossocrociati, è “la crescita di dubbi circa una ripresa nel 2014 e nel 2015”. Così secondo gli uomini del Credit Suisse “non si potrà investire in Saipem finché le maggiori incertezze non verranno chiarite”. Neppure le valutazioni apparentemente interessanti a cui tratta ora il titolo (che oscilla in queste ore poco sopra i 15 euro, contro gli oltre 40 euro raggiunti a inizio anno) “potranno catalizzare l’attenzione per diversi mesi” ed anzi gli analisti si attendono che l’azione resti “dead money” e sottoperformerà il settore anche nel prossimo futuro. Come dire che non è il caso di precipitarsi a investire nel titolo solo perché costa “poco” rispetto alle quotazioni anche solo della scorsa settimana. Il che dimostra ancora una volta la validità del detto di borsa: “non tentare mai di afferrare un coltello che cade”. Perché non sapete mai se lo prenderete dal manico o dalla lama, col rischio di farvi molto male.
Più in generale il caso Saipem, che giunge dopo analoghe difficoltà sofferte da altri titoli italiani come Finmeccanica o Ansaldo Sts (colpite da revisioni al ribasso degli obiettivi aziendali, o da cancellazione di commesse, o dalla crisi più profonda del previsto di interi mercati), fa riflettere su come la borsa italiana resti un mercato marginale dominato da pochi grandi nomi (in maggioranza del settore finanziario, dell’energia e in misura minore dell’industria), non particolarmente trasparente (avete mai letto qualche report sui problemi del Monte dei Paschi di Siena, o di Fondiaria-Sai, piuttosto che di Finmeccanica, di Saras o di Saipem, prima che esplodessero clamorosamente? Chiedetevi il perché, nonostante negli anni fossero già venuti alla luce casi clamorosi come i crack di Parmalat, di Cirio o del gruppo Burani solo per ricordarne alcuni). E’ anche questa l’ennesima conferma che il capitalismo “di relazione” che da decenni ha contraddistinto l’economia italiana è ormai un modello rotto più che in crisi. E che andrebbe cambiato, assieme al modello di credito che si è venuto a creare in simbiosi con esso. Quousque tandem abutere patientia nostra? E non mi riferisco a Catilina buonanima.