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La Russia vende il gas alla Cina, ad Eni fa lo sconto

Putin allenta i legami con l’Europa vendendo il gas di Gazprom ai cinesi di Cnpc. Intanto il monopolista russo concede uno sconto ad Eni, sua socia nel progetto Southstream…
A cura di Luca Spoldi
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Coraggio, ancora qualche insulto, ancora qualche strillo e anche le elezioni europee 2014 saranno alle spalle. Nella campagna elettorale permanente italiana che da anni non dà tregua ai cittadini del Bel Paese (né produce soluzioni ad una crisi che non vuol saperne di finire da sé) brilla ancora una volta una qualsiasi capacità di analisi di quanto sta accadendo fuori dai patri confini e fuori dall’Europa. Perché non di solo euro (o “no-euro”) si vive o si muore signori miei. In questi giorni la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping hanno siglato un accordo trentennale per la fornitura a Pechino del gas di Gazprom alla società petrolifera cinese Cnpc, una fornitura che grazie a un nuovo gasdotto potrebbe arrivare a equivalere a 38 miliardi di metri cubi l’anno per un valore complessivo di 350-400 miliardi di dollari.

L’accordo è storico per molti motivi: dal punto di vista di Mosca, riduce la dipendenza delle sue esportazioni di gas dall’Europa, principale primo cliente con 160 miliardi di metri cubi acquistati nel 2013, soglia che la Cina già entro quest’anno dovrebbe superare visto che Pechino, impegnata in un piano quinquennale di riduzione delle emissioni di Co2, conta di aumentare del 20% le importazioni di gas e salire a 186 miliardi di metri cubi l’anno così da ridurre l’utilizzo del più economico ma anche più inquinante carbone per produrre energia elettrica. Dal punto di vista dell’Europa, complice anche la crisi ucraina, la minore “sensibilità” di Mosca potrebbe spingere i 28 paesi membri dell’Ue a varare una politica energetica comune e cercare nuove fonti di approvvigionamento.

Se l’impatto “politico” è evidente, quello economico è più difficile da calcolare: secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, ad esempio, l’attuale fase di ristrettezza sul fronte dell’offerta di gas naturale potrebbe essere superata già l’anno venturo, visto che i recenti record di prezzo toccati dal gas hanno spinto ad accelerare i progetti di sfruttamento di nuovi giacimenti. Nel complesso secondo l’Agenzia ammontano a 312 milioni di tonnellate i progetti allo studio relativi a incrementi di capacità, mentre progetti per altri 94 milioni di tonnellate sono già in costruzione. Probabilmente è quanto spera Pechino, che attualmente per il gas naturale che importa paga prezzi che vanno dai 3,25 dollari per unità di misura (Mmbtu) nel caso delle importazioni dalla vicina Australia, a quasi 20 dollari per Mmbtu per le forniture provenienti dalla Nigeria rispetto ai 3,35-3,40 dollari per Mmbtu a cui oscillano le quotazioni del gas naturale americano a New York.

Ovviamente Gazprom spera esattamente l’opposto, visto che l’hanno scorso ha venduto mediamente il suo gas all’Europa a 10,65 dollari per Mmbtu, o 380,5 dollari per migliaia di metri cubi. Un prezzo che quest’anno, nonostante la crisi ucraina, è già scivolato sui 350 dollari per migliaia di metri cubi (ossia a circa 8,8 dollari per Mmbtu): facendo due calcoli a Gazprom per incassare in 30 anni 400 miliardi di dollari da Cnpc basterebbe vendere il proprio gas ai cinesi a poco meno di 351 dollari per migliaia di metri cubi. Come dire che già ai prezzi attuali per Mosca sarebbe sostanzialmente indifferente far affluire il proprio gas nei gasdotti verso l’Europa o in quello (futuro) verso Pechino. In tutto questo turbinare di cifre, che ruolo può avere l’Italia?

Il gruppo Eni da anni è uno dei partner principali di Gazprom, da cui il gruppo del cane a sei zampe compra circa 20 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, peraltro a caro prezzo (circa 12 dollari per Mmbtu), tanto che da mesi il gruppo italiano aveva avviato rinegoziazioni conclusesi positivamente proprio in queste ore, con la decisione di Gazprom di concedere “una riduzione dei prezzi delle forniture e un cambiamento importante nelle modalità di indicizzazione assicurando il pieno allineamento con il mercato” come segnala una nota ufficiale del gruppo italiano. Di quanto il prezzo calerà non è stato reso noto ma già in precedenza Eni si era vista concedere uno sconto attorno al 5% e questa volta dovrebbe essere stato anche superiore (se fosse stato del 10% o poco più il prezzo per il cane a sei zampe calerebbe attorno ai 10,5-10,8 dollari per Mmbtu, ancora superiore agli 8,8 dollari che si pagano mediamente in Europa ma effettivamente più “allineati con il mercato”).

Oltre che cliente Eni è anche partner di Gazprom visto che Eni è socia di Gazprom nel progetto per il gasdotto South Stream, nato nel 2007 su base paritaria ma poi allargato ad altri partner europei (la francese Edf ela tedesca Wintershall )nel 2011, con la quota di Eni scesa al 20%. Un progetto dai costi colossali (non meno di 15,5 miliardi di euro, ma la stampa tedesca, tradizionalmente sostenitrice del progetto alternativo Nabucco, ha parlato di stime tra i 19 e i 24 miliardi) che significano anche commesse cospicue per la controllata di Eni, Saipem, che infatti lo scorso marzo ha ricevuto un primo ordine da 2 miliardi per costruire la prima linea del gasdotto sottomarino che dalla Russia alla Bulgaria attraverso il Mar Nero, e che appare destinato a rendere trasportabili verso l’Europa fino a 63 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. Cifre che l’accordo con la Cina non mette in discussione, per ora e per i prossimi anni, ma che potrebbe mettere in forse a medio-lungo termine.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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