Willy Monteiro, oggi la sentenza in Cassazione: no alle attenuanti, chiesto nuovo appello per i Bianchi
È cominciata l'udienza di fronte alla prima sezione penale della Corte di Cassazione del processo che vede coinvolti i fratelli Bianchi per l'omicidio di Willy Monteiro Duarte, ucciso a Colleferro il 6 settembre del 2020. I pm hanno chiesto un nuovo processo d'appello per Marco e Gabriele e, quindi, l'annullamento con rinvio della sentenza di Appello per la concessione delle attenuanti generiche. Di fatto, grazie alle attenuanti, la condanna all'ergastolo inflitta in primo grado è stata ridotta a 24 anni di reclusione dai giudici d'appello. Sempre in appello, lo scorso 12 luglio, erano state confermate le condanne a 23 anni per Francesco Belleggia e 21 anni per Mario Pincarelli.
I fratelli Bianchi, sostengono i pm, "erano consapevoli delle conseguenze dei loro colpi, estremamente violenti, inferti con tecniche di lotta Mma contro punti vitali, su un corpo particolarmente esile come quello di Willy". Secondo il sostituto procuratore generale della Cassazione Marco Dall'Olio, Willy ha ricevuto "almeno due colpi potenzialmente mortali, dopo il primo colpo riesce ad alzarsi ma nuovamente viene colpito ancora per 40-50 secondi ‘di follia"'.
È questo il motivo per cui, per il sostituto procuratore, le attenuanti generiche non andrebbero concesse ai due fratelli Bianchi. Per Dall'Olio, quindi, la sentenza d'appello andrebbe annullata e il processo d'appello andrebbe rifatto da capo.
I giudici d'appello hanno riconosciuto il pestaggio ad opera dei fratelli Bianchi come omicidio doloso con dolo eventuale. Cioè Marco e Gabriele volevano fare male a Willy e a un certo punto hanno accettato la possibilità che il ragazzo potesse morire a causa dei colpi da loro inferti.
Nelle motivazioni della sentenza di secondo grado i giudici hanno scritto:
"Risulta con evidenza la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di omicidio volontario, nella forma del dolo eventuale, in quanto i concorrenti, con la condotta violenta tenuta da ciascuno di essi, pur rappresentandosi che il brutale pestaggio potesse determinare la morte della vittima, hanno agito ugualmente non solo accettando il rischio ma palesando un’adesione psicologica all’evento poi verificatosi”.