Violenza ostetrica, Martina: “Offesa durante il parto, la ginecologa diceva che sapevo solo urlare”
"Non so se ci fossero altri modi per far nascere Daniele o se quello fosse l'unico. Non discuto le pratiche. Quello che so è che c'è modo e modo di comportarsi e avere una persona avversa in quella situazione non aiuta". Martina è una donna di trentasei anni. Romana, ha partorito in un ospedale del sud Italia lo scorso anno, a gennaio del 2022. La sua è una delle tante testimonianze di donne che, dopo la tragedia del neonato morto all'ospedale Sandro Pertini di Roma, hanno voluto raccontare la loro esperienza di parto e post parto.
Martina ha partorito nello stesso ospedale dove è stata seguita nella fase finale della gravidanza. "Mi sono trovata benissimo, tutti erano molto gentili e il personale preparato. Quindi ero convinta che le cose sarebbero andate per il meglio". Quando ha rotto le acque è andata come da prassi al pronto soccorso. "Stavo bene e avevo solo lievi contrazioni, ogni tanto mi controllavano ed erano molto gentili. Poi sono stata spostata in reparto, dove ho passato una notte tranquilla dato che non avevo grosse necessità o bisogno di cure".
Durante la notte, la compagna di stanza di Martina è entrata in travaglio. "Aveva chiesto l'epidurale ma non gliel'hanno fatta, e questo mi ha messo un po' in allerta, perché quello era l'unico paletto sul quale non avrei ceduto. A ogni ostetrica che entrava ricordavo che avevo firmato il consenso per l'epidurale, e che quando fosse giunto il momento avrebbero dovuto farmela. Ero molto spaventata".
Passano le ore, il travaglio di Martina non si attiva. Dato che era trascorso un giorno intero dal momento della rottura delle acque, i medici hanno proceduto con l'induzione. "Dopo un'ora sono partite le contrazioni – ricorda Martina – appena sono cominciate quelle forti ho chiamato il medico, che molto scocciato continuava a dire che non era possibile fossi in travaglio attivo perché era passato poco tempo. Ho chiesto di essere visitata, dopo un po' lo hanno fatto ed effettivamente hanno confermato che era cominciato. Mi hanno portata così in sala parto e fatto l'epidurale, come avevo richiesto".
"Una volta in sala parto ho iniziato a spingere, le ostetriche mi hanno detto che la testa già si vedeva e che ci sarebbe voluto un attimo. La sala parto era strapiena, c'erano almeno quindici persone che entravano e uscivano in continuazione. In tutto questo però il bambino non usciva. C'era una ginecologa seduta sul fondo della sala che da lontano, senza neanche avvicinarsi, ha iniziato a dire ‘eh, ma la signora non collabora. Deve spingere, non urlare‘. Mentre continuavo a spingere con tutta me stessa lei continuava in sottofondo a dire questa cosa, che non collaboravo e a denigrarmi. A distanza di un anno, se ci penso ancora mi viene il nervoso. C'era anche un uomo, non so il suo ruolo, stava di fronte a me. Dopo mezzora di spinte si è stufato, e con aria scocciata ha detto ‘basta, ora lo faccio'. La ginecologa solo a quel punto si è alzata e mi si è messa di fianco. Io ho cominciato a urlare terrorizzata, perché ho capito che stavano per fare la Kristeller".
"Urlavo per la paura, ero terrorizzata perché conosco benissimo i rischi di quella manovra. In un attimo mi sono trovata la ginecologa sopra, il medico che tirava il bambino con la ventosa e contemporaneamente tagliavano tutto quello che potevano. Finalmente il bambino è nato, con la ginecologa che continuava nel frattempo a lamentarsi di me. Sono stati un'ora a suturare, non so nemmeno quanti punti ho avuto. Tra l'altro, la manovra di Kristeller non è mai stata menzionata nel referto medico. Se però la considerano legittima, perché non farlo?".
Ciò che Martina avrebbe voluto in quei momenti, oltre a non essere denigrata mentre stava partorendo, era essere informata su ciò che stava accadendo. "Non mi hanno mai detto nulla. Io ero cosciente e perfettamente in grado di ascoltare e capire. Perché quegli interventi così invasivi devi farli senza informarmi e dirmi cosa stai facendo, lasciandomi completamente in mezzo al panico?".
Dopo il parto, Martina è andata nella stanza che le è stata assegnata. "Avevo una singola. Mi hanno chiesto se volevo il bimbo in camera e ho detto di sì. La prima notte è stata molto tranquilla: è venuta un'ostetrica giovane, molto gentile, per controllare se sapessi come attaccarlo al seno. Ha visto l'attacco, mi ha detto che era perfetto e che naturalmente il bambino si era messo nel modo giusto. Mi ha consigliato di attaccarlo di tanto in tanto per facilitare la montata e così ho fatto. Durante la notte non è mai passato nessuno ma è andata bene, io ho dormito e anche il bambino".
L'incubo è cominciato la seconda notte. "Un'ostetrica che non avevo mai visto è entrata in camera verso le 21.30, e con un modo di fare incommentabile mi sgrida e dice che è tardi e devo andare a letto. Le ho chiesto ‘scusi, ma perché?‘ e tutta sbrigativa ha cominciato a dire che mi dovevo sdraiare perché doveva farmi vedere come fare con il bambino. Le ho risposto che non c'era bisogno, e che la notte prima si era attaccato ed eravamo stati benissimo, e aveva dormito nella sua culla. Mi ha detto che dovevo farlo dormire con me perché era più facile che si attaccasse durante il sonno. Mi ha costretto a letto, in una posizione scomodissima e per me dolorante a causa dei punti del parto. Ho continuato a dirle che avevo già parlato con un'ostetrica, mi ha risposto che non sapevo come funzionava e dovevo ascoltare lei. Poi ha preso il bambino mentre dormiva dalla culla e lo ha costretto ad attaccarsi".
Il neonato però in quel momento non aveva voglia di prendere il latte. "Stava dormendo, non voleva attaccarsi – continua Martina – ha cominciato a piangere, lei lo ha spinto e costretto ad attaccarsi al seno. A quel punto lo ha fatto, ma ha serrato le gengive facendomi male. Lei se ne è andata, e non l'ho più vista. Il bambino a quel punto era così nervoso che ha continuato tutta la notte a dormicchiare e attaccarsi, ma serrando sempre di più la bocca. Sono passata dallo stare benissimo ad avere il seno massacrato".
Quella notte Martina non è più riuscita a mettere Daniele in culla. "Appena ci provavo piangeva. Non ho tentato troppe volte perché ero dolorante per i punti e il parto, ho avuto problemi anche nei mesi successivi". A causa di quell'attaccamento forzato, a Martina sono venute le ragadi al seno. "Ho avuto problemi ad allattare per tutto il mese successivo, perché le ferite provocate quella notte sono peggiorante sempre di più mano a mano che il bimbo si attaccava più spesso".
Quando è uscita dall'ospedale, nessuno le ha detto cosa doveva fare per le ferite causate dal parto. "Mi hanno dato giustamente moltissime informazioni sulla cura del bambino, ma nessuna riguardo la gestione della mia guarigione. Nei giorni successivi ho avuti diversi problemi legati ai punti: li ho risolti da sola, andando a parlare autonomamente con una ginecologa, che mi ha detto come curare le cicatrici".
L'esperienza del parto ha fatto sì che Martina non sa se un domani avrà ancora dei figli. "L'idea di una seconda gravidanza mi terrorizza. Se ripenso a quei momenti mi viene tuttora la pelle d'oca".