Violenza ostetrica, Chiara: “Mi hanno detto che ero grassa e mio marito si sarebbe trovato un’altra”
"Ho partorito dieci mesi fa e anche io voglio raccontare la mia storia". Inizia così il racconto di Chiara, una ragazza di Latina che lo scorso anno ha avuto il suo primo bimbo. Ha deciso di contattarci dopo la vicenda del neonato morto all'ospedale Sandro Pertini di Roma e che ha scatenato un'ondata di solidarietà verso quei genitori che hanno perso il loro piccolo in modo così tragico. Moltissime donne hanno raccontato le loro storie, dicendo ‘quella mamma avrei potuto essere io‘. Facendo aprire una discussione sull'assistenza alle donne nel post parto.
Sono tante le storie di violenza ostetrica che continuano ad arrivare. Donne che hanno raccontato di essere state offese e umiliate durante il parto, e che non si sono sentite supportate in uno dei momenti più delicati della loro vita. Chiara è una di queste.
"Per tre giorni i medici hanno provato a farmi l'induzione, ma non mi dilatavo – racconta Chiara – Un dottore mi ha quindi rotto il sacco, ma anche così non è cambiato nulla. Continuavo a urlare dal dolore per le contrazioni, e il personale sanitario mi diceva di stare zitta altrimenti mio marito, che era fuori la sala parto le regole anti-covid, mi avrebbe sentita". Dato che il bambino non nasceva, i medici hanno proceduto con un taglio cesareo. "Ho avuto un travaglio durato 72 ore e non ho mai dormito. Dopo il cesareo ero stanchissima e dolorante, non riuscivo a muovermi né ad allattare. Hanno lasciato il bambino con me: ho suonato tantissime volte il campanello per chiedere aiuto, ma non veniva mai nessuno. E mio marito poteva entrare solo mezzora al giorno, a seconda di quanta gente era in stanza". Finalmente un'infermiera si affaccia da Chiara. "Era molto nervosa, e comunque non ha preso il bambino, dicendo che ero io la madre e dovevo arrangiarmi, perché poi a casa chi mi avrebbe aiutato?", continua Chiara.
"L'unica volta che sono venute due infermiere è stato per lavarmi. Sono state molto scortesi e offensive, hanno cominciato a dire che ero grassa e non riuscivano ad alzarmi e pulirmi bene e quindi avrei dovuto fare da sola. Premetto che in gravidanza ho preso ventiquattro chili ed ero arrivata a pesarne ottanta, ma non avevano il diritto di insultarmi. Mi hanno anche detto che se non dimagrivo mio marito si sarebbe trovato un'altra donna".
Il bambino non è stato mai portato al nido, ma lasciato sempre in stanza con la mamma. "Non mi hanno insegnato ad attaccarlo al seno, e quando suonavo il campanello per chiedere aiuto e perché mio figlio continuava a urlare dicevano solo che dovevo insistere, altrimenti l'avrei fatto morire. Ora sono passati dieci mesi e stiamo bene, spero che la mia storia possa essere d'aiuto a qualche ragazza. Non dovete avere vergogna né paura di niente".