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“Vado a Ponte Milvio e gli sparo”: i tentacoli dei clan della ‘ndrangheta sui locali della Roma bene

“Ma io vado là gli sparo…Ma io gli entro gli sparo su tutte e due le gambe…e me ne vado”. I punti di ritrovo della “Roma Bene” sono diventati le “eldorado” dei boss, per un giro d’affari di milioni di euro.
A cura di Emilio Orlando
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Il Crazy Bull di Ponte Milvio
Il Crazy Bull di Ponte Milvio

"Gli ho detto cento volte… fai quelle cose americane che fanno ora come quella a Ponte Milvio". A parlare del ristorante "Crazy Bull", un prestigioso locale di Ponte Milvio sono il boss Vincenzo Alvaro e il suo "luogotenente" Carmelo Adami, finiti entrambi nella rete della Dia dell'operazione anticrimine che ha portato a 43 arresti tra la Capitale, il Lazio e la Calabria, nei confronti di appartenenti a quella che la viene considerata la prima locale ufficiale di "Ndrangheta". I punti di ritrovo della "Roma Bene" sono diventati le "eldorado" dei boss. Un giro d'affari vorticoso di milioni di euro, fatti passare per le mani di prestanome e società di comodo per eludere le indagini. Ambigue acquisizioni di attività, cessioni e subentri in rami d’azienda, con commercialisti compiacenti il modus operandi utilizzato dalla criminalità calabrese per riciclare i fiumi di soldi ricavati dalla droga. Investimenti notevoli, che sembrerebbero derivare, secondo chi indaga, proprio dal reimpiego di enormi capitali del narcotraffico.

Prima il Centro Storico, poi i quartieri di Roma nord. Da ormai quasi cinque anni, il quartiere a ridosso dello Stadio Olimpico, ha completamente cambiato pelle dal punto di vista delle attività commerciali. Si è passati dalle boutique che vendevano marchi griffati, dai negozi che servivano i residenti ai pub e alle discoteche sfavillanti e kitsch della movida romana, nati come funghi e gestiti da società riconducibili alla malavita organizzata. Già nell'inchiesta "Mondo di Mezzo" emerse che i proventi dello spaccio di cocaina da parte degli albanesi avveniva proprio davanti ai locali di Ponte Milvio e che e gli affari "leciti" passavano anche questi tra le mani della criminalità organizzata, che si preoccupava di garantire una "convivenza" pacifica tra gli uomini di Carminati, gli albanesi che sono il braccio armato della "‘ndrangheta". Nella recente indagine "Propaggine" emerge ulteriormente l'interesse delle ndrine per la piazza di Ponte Milvio considerata fiorente anche per lo spaccio di droga.

Un altro filo sottile unirebbe, secondo i magistrati della direzione distrettuale antimafia che hanno coordinato la maxi operazione, Ostia a Roma nord. Infatti il boss Marco Pomponio, finito anch'egli in manette e intercettato in una conversazione dentro l'abitacolo di una macchina, racconta a un complice il suo piano per recuperare un debito: " Ma io vado là gli sparo…Ma io gli entro gli sparo su tutte e due le gambe…e me ne vado" e continuava "sono lesioni colpose…Ne faccio un po' di carcere e quando vado a fare il processo gli dico mi hai rubato 127.000 euro". Pomponio, infatti, vantava un credito, per una ingente somma di denaro, nei confronti del titolare di fatto del ristorante "Sea Food", di via Flaminia 488 e nei confronti di un altro socio, titolare di diversi stabilimenti balneari ad Ostia.

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