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Talpa in procura, il giudice: “Marianera e De Vivo hanno rischiato di mandare a monte indagini”

Nelle motivazioni della sentenza che condanna a cinque anni di reclusione Jacopo De Vivo, il giudice spiega il metodo che l’uomo aveva ideato insieme alla compagna, la praticante avvocata Camilla Marianera.
A cura di Natascia Grbic
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Davano ai propri ‘clienti' la possibilità di entrare nel "cuore del segreto istruttorio". Tutto questo in cambio di denaro, mazzette da 300 euro: i criminali chiedevano informazioni su procedimenti e intercettazioni a loro carico, Camilla Marianera e Jacopo De Vivo li fornivano, tramite l'aiuto di una talpa (mai identificata) che lavora all'ufficio intercettazioni del Tribunale di Roma. Questo sostiene la motivazione della sentenza, riportata da Il Corriere della Sera, che condanna Jacopo De Vivo a cinque anni di reclusione con l'accusa di corruzione in atti giudiziari. Anche Marianera è stata condannata ma a sei anni, dopo aver scelto il rito ordinario. Entrambi sono usciti dal carcere, e da maggio si trovano agli arresti domiciliari.

"Gli indagati, una volta conosciuti gli atti di indagine coperti da segreto, hanno potenzialmente potuto adottare le contromosse necessarie ad arginare le iniziative della polizia giudiziaria, rischiando di annullare gli sforzi investigativi", scrive il giudice per l'udienza preliminare nel provvedimento. Nessuno dei due, inoltre, ha collaborato per far individuare la ‘talpa' nel tribunale, a oggi ancora sconosciuta. Entrambi hanno dichiarato che si trattava di millanterie, che mentivano per truffare i criminali. Il giudice però, non ha creduto alle loro parole. "I risultati dell’attività investigativa", dice il gup, "hanno permesso di acquisire la prova del rapporto corruttivo tra uno dei 15 ufficiali impiegato presso l’ufficio intercettazioni".

"Quando Luca Giampà, che specifico ho visto solamente due volte in vita mia, mi disse di avere il Gps e il cellulare sotto controllo io, dopo aver finto di controllare, ho semplicemente ripetuto a Giampà le stesse cose dando credito ai suoi sospetti: gli ho detto che era sotto intercettazioni ambientali e telefoniche", ha dichiarato Marianera in aula. Luca Giampà era accusato del tentato omicidio del cognato Antonio Casamonica. Aveva chiesto alla praticante avvocata se ci fossero intercettazioni a suo carico, pagando 300 euro. La donna ha sempre detto che si trattava di bugie dette solo per avere del denaro, ma il giudice non le ha creduto.

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