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Stupro di Capodanno, lettera del padre alla ragazza violentata a Palermo: “Ti scrivo per appoggiarti”

Il padre: “La gente non comprende queste situazioni. Prendo quindi la penna per spiegare a chiunque pensi ‘ma in fondo se l’è voluta’ il calvario di un essere spezzato nella sua dignità”.
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"Cara ragazza di Palermo, sono il padre della vittima del tristemente noto ‘stupro di Capodanno' di Roma, e ti scrivo per appoggiarti". Comincia così la lettera del padre della ragazza allora 16enne che ha subito violenze sessuali durante una festa in una villa a Primavalle. La destinataria del messaggio pubblicato da Repubblica è la 19enne di Palermo violentata dal branco, nella notte tra il 6 e il 7 luglio. La ragazza, dopo un lungo silenzio, pochi giorni fa si è sfogata sui social, accusando chi la giudica per come era vestita e prendendo le parti di tutte le vittime di stupro che oltre all'abuso fisico devono subire anche questa seconda violenza: "Hai fatto bene a reagire contro chi, sui social, ha facilmente concluso che a ‘una come te' è ‘normale' che capiti – le risponde il padre – E di suicidio, purtroppo, non hai parlato a sproposito. Ma ti scrivo anche per avvertirti: sei sola, perché gli altri non capiscono".

"Vittima di uno stupro di gruppo, cosa vuol dire? La gente non capisce. Ci sono cose che pensiamo non ci toccheranno mai, come se potessero capitare solo ad altri, ma poi irrompono e devastano la vita. Prendo quindi la penna, sei tu che mi hai dato il coraggio. Scrivo per spiegare anche per te a tutti – a ognuno di noi quando viene sfiorato da pensieri come ‘ma in fondo se l’è voluta', ‘ma era provocante', ‘ma cosa sarà mai?' – il calvario di un essere spezzato nella sua dignità. I nostri legali sconsigliano questa testimonianza sulla stampa perché potrebbe non essere utile al processo: non importa; noi abbiamo scelto di denunciare per mettere in guardia, non per dei vantaggi, magari economici. Tutti dovrebbero capire che il prezzo da pagare a esporsi in un processo come vittima di violenza è enormemente superiore a qualsiasi vantaggio personale che ne possa derivare". Infatti, l'essere state vittima di uno stupro è ancora "un marchio sociale indelebile".

Sono numerosi i parallelismi con la situazione della figlia di chi scrive questa lettera, soprattutto per quanto riguarda l'iter processuale e l'inevitabile impatto che questo avrà sulla giovane, rischiando di compromettere ulteriormente il suo stato emotivo. Da questo la mette in guardia, dalle testimonianze di quelli che si credevano amici, dai prevedibili tentativi degli avvocati della difesa di farla passare per consenziente, dagli insulti sui social. "Mia figlia – continua il padre – aveva 16 anni quando è stata drogata e stuprata da almeno cinque individui. È inequivocabile, il referto ospedaliero certifica gravi lesioni. Ma per noi, come temo sarà anche per te, l’evidenza non basta: il gioco processuale sarà a dimostrare che tu, come lei, volevate esattamente quello che vi è successo. Uno stupro è un puzzle di tradimenti, e dobbiamo raccontare a tutti cosa significano nel quotidiano: il tradimento di chi ti usa come un oggetto e poi il tradimento di chi vede in te, vittima che ha deciso esporsi per tutti, una scocciatura di cui sbarazzarsi così come eri solo un contenitore usa e getta di sperma".

"La verità piomba come un martello"

"Vi racconto cosa provocano giorno per giorno. Racconto a te, come l’abbraccio di un altro padre, e a tutti anche per te. Pensavi di aver lasciato tua figlia minorenne in un luogo sicuro – ripercorre la sua storia – finché piomba una chiamata da una caserma dei carabinieri. E allora si prende la macchina e si corre infrangendo tutti i limiti di velocità – lo ammetto, multatemi se volete – e si varca finalmente quel portone di ferro per trovare un esserino annichilito. Soggiogato, prostrato. La abbracci ma senti che non c’è, non è lì, è prigioniera di una bolla tutta interna di dolore fisico e dell’anima. Poi la porti via (dopo le deposizioni, ndr) e cerchi di circondarla di affetto e sostegno, ma percepisci che non passano, è altrove nei suoi pensieri. E non sai che pesci pigliare, sei il primo a non capire cosa le succede dentro".

"Mi ci sono voluti mesi per capire – e anni a lei per razionalizzare – cosa cercava: smentire a sé stessa l’evidenza. Quando hai 16 anni il riflesso di te stessa che ti rinvia il tuo gruppo di amici è la cosa più importante del mondo. E allora diventa un’urgenza incontrollabile tornare sul campo, rischiare, per cercare la conferma che avevi capito male: non è possibile, sono i miei amici! non mi hanno abbandonata da sola agli stupratori, non mi hanno filmata mentre abusavano di me, non hanno avuto come prima reazione mandarmi Whatsapp di insulto perché erano stati chiamati a deporre! non hanno davvero riso quando qualcuno sbandierava come un trofeo la maglietta sporca del sangue delle mie lacerazioni. Devo aver capito male, sono i miei amici! Sono ragazzi che mi vogliono bene… e cerchi di smentire l’evidenza con tutte le tue forze, rischiando di incontrarli di nuovo, ma poi la verità piomba come un martello".

Le prove di "normalità"

"La vita va avanti – continua il duro racconto di una quotidianità apparentemente estranea – c’è la scuola, in un altro paese, ci sono gli amici diversi di un luogo diverso. Ci si fa forza e all’inizio sembra che si ritrovi la serenità, che però dura un soffio. Arrivano le crisi di panico e l’agorafobia. Comincia l’insonnia. È ovvio che serve un sostegno specialistico: le diagnosi mai certe che si alternano, e allora una ragazzina, lucida e che sa di non meritarlo, deve sperimentare se è meglio l’Efexor, il Prozac o il litio e si intossica. E ancora oggi, a tre anni di distanza, la terapia risolutiva per l’ansia di una persona consapevole non è stata trovata. È un disagio enorme ma deve rimanere nascosto e, come sempre succede, viene fuori per vie traverse: il profitto scolastico diventa un’altalena; come il suo peso, con oscillazioni fino a 12 chili in pochi mesi, contemplati con tristezza da una ragazzina che continua a chiedersi se vale qualcosa, se sarà mai più capace di avere fiducia in un uomo, amarlo, costruire con lui una famiglia".

La seconda violenza durante il processo

"Poi arriva il processo: una dura deposizione che fa male. Ci vogliono settimane per ricomporre l’equilibrio, ma nulla in confronto alla crudeltà delle testimonianze degli ‘amici'. Se la tua denuncia li espone – socialmente o legalmente – all’onta di un abbandono, alla scoperta di traffici di stupefacenti gestiti da giovani spacciatori di famiglie in vista, sei scomoda. Meglio minimizzare il tutto, e farlo coralmente, ovvio. Dichiarano che sembrava consenziente, quasi felice, depongono che il suo sport abituale era avere rapporti multipli in un’unica sera". E a questo punto i confini non sono più netti, non si capisce se si riferisca all'esperienza della figlia o della giovane di Palermo, ma tanto il messaggio non cambia.

"Cara ragazza, spero che tu abbia intorno meno cinismo e solitudine", l'abbraccio virtuale che il padre offre a una ragazza mai incontrata in vita sua, ma che così tanto gli ricorda sua figlia.

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