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Sparatoria a Fidene

Fidene, Luca Di Bartolomei a Meloni: “Piangiamo le vittime, ma ora limitare diffusione delle armi”

“Lei, presidente, piange la sua amica Nicoletta. Perché questo dolore non sia vano, chi ha un dovere pubblico deve fare uno sforzo perché tragedie come questa non possano ripetersi. Sarebbe bello e utile se lei e tutti gli altri in Parlamento trovassero le soluzioni”. La lettera di Luca Di Bartolomei a Giorgia Meloni.
A cura di Redazione Roma
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Luca Di Bartolomei è il figlio di Agostino Di Bartolomei, il campione di calcio e bandiera della Roma che si è tolto la vita il 30 maggio 1994. Di Bartolomei è impegnato nella battaglia civile e culturale per la limitazione sulla diffusione delle armi, a cui ha dedicato anche un saggio "Dritto al cuore. Armi e sicurezza: perché una pistola non ci libererà mai dalle nostre paure" (Baldini e Castoldi). Questa è la lettera che ha indirizzato a Giorgia Meloni e al governo dopo la strage avvenuta ieri alla periferia di Roma. In un dehor all'esterno di un bar in via Monte Giberto Claudio Campitelliha fatto irruzione durante una riunione di un consorzio abitativo, uccidendo tre donne e ferendo altre quattro persone. Tra le vittime anche Nicoletta Golisano, a cui la premier Meloni era legata da un vincolo d'amicizia, come ha reso pubblico lei stessa nella serata di ieri.

La lettera di Luca Di Bartolomei a Giorgia Meloni

Gentile presidente del consiglio,

la tragedia ci Colle Salario ci lascia tutti sbigottiti. Con quel suo miscuglio di rabbia, odio, solitudine, follia che si è abbattuta su persone “qualsiasi” impegnate nella più noiosa delle attività sociali – la riunione di condominio – è una vicenda che sembra fatta apposta per suscitare allarme.

Ho visto l’immagine che ha postato sui social e che la raffigura accanto a una delle vittime, Nicoletta, una sua amica. 

Ho letto il suo commento addolorato. 

Vorrei partire da qui per rivolgerle un appello ad affrontare alcuni problemi, superando ogni polemica e cercando conclusioni utili per tutti.

Come lei fa notare all’assassino era stato negato il porto d’armi. 

Insomma il sistema stavolta aveva funzionato: si era compresa l'inadeguatezza – e forse si era intuita anche la pericolosità – di Campiti ad avere un’arma. 

E se questo ci fa piacere – visto che troppe volte in passato i porti d’arma erano diventati “licenze di uccidere”, soprattutto donne – non possiamo non rilevare come la tragedia di Fidene riveli ancora una volta una mancato coordinamento, quella interconnessione fra le banche dati, che sarebbe letteralmente vitale. 

Una persona a cui è stato più volte negato il porto d’armi forse non dovrebbe avere accesso ad un poligono di tiro dove con le armi prende confidenza e dove alla fine, rubandola, la pistola omicida è diventata sua. 

Sulle modalità del furto dell'arma le indagini dovranno dirci molte cose: quante volte era stato al poligono? Aveva il dima? Perché la mancata restituzione dell'arma non è stata prontamente denunciata?

Nei tanti poligoni vengono regolarmente rispettate le norme di consegna delle armi e della loro restituzione?

Sono un processo migliorabile per minimizzare i rischi?

Se questo è un compito dei magistrati, resta un compito della politica. 

In passato qualcuno la sua parte politica (ma non solo) ha affermato che la diffusione delle armi fosse un bene, che anzi era uno strumento di difesa degli innocenti. 

Ora è il momento invece lavorare come Ministero dell'Interno e della Salute per cercare di impedire che tragedie come quella di Colle Salario si ripetano. 

Cominciando proprio dalla interoperatività delle banche dati. 

Faccio un esempio che ho ripetuto mille volte. 

Se una persona che ha legalmente un porto d’armi entra in una spirale psichica di malessere, di depressione autolesionistica, persino se viene sottoposta a cure con psicofarmaci o ad un trattamento sanitario obbligatorio lo Stato deve saperlo e nel suo e nel nostro interesse quella “licenza” deve essere  sospesa e l'arma temporaneamente ritirata.

Noi tutti oggi piangiamo quelle vittime e siamo vicini a chi ancora lotta tra la vita e la morte. 

Lei, presidente, piange la sua amica Nicoletta. Perché questo dolore non sia vano, chi ha un dovere pubblico deve fare uno sforzo perché tragedie come questa non possano ripetersi. Sarebbe bello e utile se lei e tutti gli altri in Parlamento trovassero le soluzioni. 

Lontani da ogni tentazione elettorale o da polemiche.

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