Stalker a processo: per mesi perseguita un’omonima dell’ex con video hot e chiamate a tutte le ore
Una vicenda che ha dell'incredibile e che ora vedrà la sua fine in tribunale. I fatti risalgono a un periodo a cavallo tra il 2013 e il 2014 quando un uomo di sessant'anni incomincia a perseguitare una giovane mamma romana. Telefonate a qualsiasi ora, video hot, messaggi. Quando era da sola, quando era a lavoro, quando era con il figlio di due anni. Uno stillicidio andato avanti per mesi e a rendere il tutto più assurdo per la vittima è che lei, quell'uomo, non aveva idea di chi fosse, né del perché la stesse perseguitando, a cosa si riferissero i suoi messaggi. Si sarebbe trattato infatti di un caso di omonimia: l'uomo voleva comunicare con una donna con cui aveva appena terminato una relazione, invece stava parlando con una sua ominima.
La vicenda è ricostruita sulle pagine del quotidiano il Messaggero. "Mi ricordo che è iniziato un giorno qualunque, senza un'apparente motivazione. All'inizio quando ho ricevuto le prime chiamate da un numero sconosciuto ho risposto tentando di spiegare che non ci conoscevamo e che probabilmente aveva sbagliato persona, ma non è servito a nulla", spiega la vittima. Ma ogni spiegazione è stata inutile: la donna che aveva troncato una relazione durata qualche mese, prima lo aveva bloccato, poi aveva cambiato utenza telefonica e lui era convinto di aver rintracciato il nuovo numero. Peccato non si trattasse di lei.
Non solo la contattava insistentemente, ma anche il contenuto dei messaggi ha turbato la donna costretta a riceverli, tra video di autoerotismo e messaggi a sfondo sessuale. Anche lei lo blocca, ovviamente, dopo aver tentato di spiegare lo scambio di persona. Ma poi lui riprende come prima questa volta da dei numeri anonimi. E l'incubo ricomincia, tanto da ingenerargli uno stato di perpetua ansia e di angoscia, anche per paura che lui si presentasse davvero alla sua porta o in ufficio, senza che fosse neanche in grado di riconoscerlo. Decide così di sporgere denuncia per stalking.
L'uomo, che era presente in aula, si è giustificato con la giudice Ilaria Amarù spiegando che in quel momento stava passando un momento difficile, segnato da un'alterazione psichica e dall'abuso di alcun e benzodiazepine. Ha spiegato di soffrire di depressione e che non era lucide: "Quando mandavo messaggi e facevo chiamate, prendevo una serie di psicofarmaci, benzodiazepine che mischiavo con una bottiglia intera di Jack Daniels. Quindi non mi rendevo conto di quello che stavo facendo".