Elezioni europee 2024

Smeriglio (AVS): “L’Italia conta in Europa, per questo la sinistra deve tornare protagonista”

Fanpage.it ha intervistato Massimiliano Smeriglio, eurodeputato uscente candidato nelle liste di Alleanza Verdi Sinistra al Centro e al Nord-Ovest. Abbiamo parlato della guerra a Gaza, di pace in Ucraina, di politiche comunitarie e del fatto che l’Italia conta in Europa anche se a volte non ce ne rendiamo conto.
A cura di Valerio Renzi
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Massimiliano Smeriglio, eurodeputato uscente, eletto nella scorsa legislatura come indipendente nelle liste del Partito Democratico, ha di ricandidarsi con Alleanza Verdi Sinistra. La prima sfida è superare la soglia di sbarramento del 4%. Come va la campagna?

La campagna sta andando bene, le iniziative sono sempre piene ed era tanto tempo che non accadeva, Alleanza Verdi Sinistra va affermandosi nel campo progressista. Si sente però che un pezzo di popolazione è distante, molto indifferente alle alle elezioni europee. La lista si è affermata bene su questioni cruciali a cominciare da pace e guerra, transizione ecologica e giustizia sociale, temi che le persone sentono. Le liste di AVS in tutte le circoscrizioni hanno accolto biografie e storie molto diverse, un atto di generosità e di responsabilità.

Lei corre al Centro e nella circoscrizione del Nord-Oves, dove Alleanza Verdi Sinistra ha scelto come capolista Ilaria Salis…

Corro al Nord-Ovest con lo spirito di costruire una staffetta democratica, come sta facendo Mimmo Lucano. Per dare una mano a raggiungere l'obiettivo principale che ci siamo dati, che è quello di eleggere Ilaria Salis. Lo abbiamo scelto con lei e con la famiglia, una sfida che Ilaria ha accettato rinunciando anche a candidature più sicure per scegliere una lista che dal punto di vista valoriale che le somiglia di più. Ricordiamo che Ilaria non è libera, è ai domiciliari in una condizione anche di pericolo, visto che in tribunale è stato fatto il suo indirizzo di casa. Una cosa gravissima, quindi dobbiamo insistere, dobbiamo lavorare per tirarla fuori dall'Ungheria e per prima cosa portarla a Bruxelles.

Lei ha vissuto l'ultima legislatura in cui è sembrato che l'Europa potesse prendere una direzione diversa a cominciare dal piano di investimenti Next Generation Eu, il Green New Deal, nuove politiche di investimento per uscire dalla crisi del Covid. Insomma, sembrava che l'Europa dell'austerità fosse archiviata, la seconda parte invece è stato un brusco risveglio?

È esattamente così. La scorsa legislatura è divisa in due momenti nettamente distinti. I primi due anni e mezzo che hanno coinciso con l'impegno di David Sassoli fino alla sua morte. Sono stati due anni e mezzo di costruzione, in cui c'è stata la reazione giusta al Covid, sia durante la crisi pandemica che nell'idea di ricostruzione successiva, cioè l'idea che non saremmo dovuti tornare alle politiche precedenti allentando il patto di stabilità, dando più margine alla spesa pubblica. Next Generation Eu porta con sé l'idea della trasformazione del modello di sviluppo, la transizione ecologica, transizione digitale, l'inclusione sociale e politiche femministe. Insomma, un'agenda promettente, positiva, che piano piano è stato smontato di fronte ad eventi altrettanto storici e drammatici come la guerra, l'invasione russa in Ucraina, la vicenda drammatica di Gaza e la vittoria di Meloni alle elezioni italiane.

La vittoria delle destre in Italia è stato un avvenimento così significativo sul piano continentale?

l'Italia Non è vero che è un Paese che non conta, l'Italia conta. L'Italia ha un peso, nei numeri, nell'economia, nelle dinamiche d'aula. Quindi anche questo ha inciso nello spostare il Parlamento e di tutte le istituzioni comunitarie verso l'agenda destra. Lo abbiamo visto in maniera esemplare col voto sul Patto delle migrazioni, un atto scellerato perché dà l'idea chiara di un'Europa chiusa, fortezza che costruisce centri illegali di detenzione, costruita con miliardi di euro, centri di detenzione illegali in Tunisia, in Egitto, in Libia, in Albania. Quindi il modello italiano, paradossalmente il peggior un modello italiano, verrà replicato su scala europea.

E poi c'è stata la guerra…

Certo la guerra e la crisi che ha portato con sé, con l'assenza di una qualsivoglia volontà diplomatica. Noi abbiamo assistito a una escalation rispetto alla crisi militare sul riarmo, sull'impiego degli arsenali, sul rafforzamento della spesa militare di 27 eserciti nazionali senza nessuna discussione sulla difesa comune europea. Di fronte allo scenario di una guerra di lunga durata l'Europa non ha mosso un dito, questa è la verità.

Le pongo una domanda che si fanno molti elettori di centrosinistra di fronte al tema della pace. Come si fa a difendere l'Ucraina dalla dall'invasione russa, senza difenderla con le armi?

Ma in realtà, al di là di quello che penso io e che pensano molti altri pacifisti, in questo caso noi abbiamo la prova del nove perché lo stesso esempio potremmo farlo sullo scenario palestinese: come facciamo a difendere la popolazione palestinese dalla forza d'urto dell'esercito israeliano? Ma rimaniamo in Ucraina. Sono due anni che l'Europa investe in armi. Io sono preoccupato delle parole di Macron, delle parole di Stoltenberg di queste ore che sta tracciando una linea di ulteriore escalation militare. Le due cose non sono alternative. In astratto l'Europa può svolgere una funzione, diciamo così, di sostegno difensivo come fatto finora, al di là del mio voto personale, e contestualmente svolgere una funzione diplomatica, negoziale, di pace, di de-escalation.

Questa seconda parte non è mai avvenuta allora, a meno che non si pensi che il tema è arrivare a Mosca e quindi battere militarmente la Russia sul campo, cosa molto difficile, molto pericolosa e assai improbabile, è evidente che prima o dopo andrà costruita una trattativa. Sarebbe opportuno che questa trattativa la organizzasse l'Europa, non la Turchia, non la Cina o altri soggetti autoritari che si vanno affermando nel nuovo scenario globale. Questa cosa non è accaduta. Io penso che questo deve essere l'obiettivo di un drappello di parlamentari pacifisti dell'Alleanza di sinistra, ma perché no, anche delle altre forze, e cioè rivendicare sovranità, autonomia e indipendenza europea, staccandosi dall'agenda atlantica e proponendo un'agenda comune europea distinta, che metta al centro la trattativa di pace.

Andiamo a Gaza come possibile che la comunità internazionale, di fronte a quello che sta che sta accadendo, non è riuscita davvero mai a tracciare una linea rossa per il governo Netanyahu?

Io penso ci sono vari motivi, tutti sbagliati. Il prima è che l'alleato più forte dell'Occidente in quell'area è il secondo che continuiamo ad alimentare e finanziare un esercito già molto, molto attrezzato. La terza questione ha a che fare con un senso di colpa legittimo che l'Europa porta in corpo, che la Germania porta in corpo, che è la Shoah. Il problema è che questo senso di colpa, questa responsabilità storica, è responsabilità europea e non dei palestinesi o degli arabo musulmani. E noi facciamo una strana traslazione delle responsabilità. La destra poi carica ulteriormente e sostituisce lo stigma dell'ebreo sul piano della propaganda razziale, e ci mette il musulmano.

Quindi è evidente che siamo di fronte a un'ingiustizia di fronte alla quale dobbiamo discernere le responsabilità, che non sono delle comunità ebraiche e neanche dal mio punto di vista dello stato di Israele in sé Quella che dobbiamo avversare è una politica estremista, colonialista, suprematista del governo di estrema destra di Netanyahu. E  siccome noi combattiamo tutte le dimensioni confessionali, estremiste, millenariste che sia che siano quelle di Hamas, o che siano quelle dei coloni israeliani, anche in questo caso dobbiamo metterci in mezzo.

Anche Giorgia Meloni parla di due popoli e due stati…

Benissimo, allora agisse. Come hanno agito il governo spagnolo e il governo norvegese o quello irlandese, riconoscesse lo Stato di Palestina. E poi dobbiamo affrontare un tema vero: la Palestina dei tempi degli accordi di Oslo non esiste. Gaza è un cumulo di macerie, con 80.000 edifici abbattuti e oltre 35.000 morti. E la Cisgiordania è un luogo che assomiglia al Far West ai tempi della conquista.

Siamo passati per il fallimento degli accordi di Oslo, in trent'anni da 100.000 a 900.000 coloni, che rappresentano un blocco sociale culturale molto estremo, millenarista, armato, incattivito e quindi il problema è come decolonizzare e ricostruire lo spazio necessario per questa entità. Che poi è quella che rimanda all'autodeterminazione del popolo palestinese.

Un'ultima domanda, cosa ha lasciato in sospeso a Bruxelles? Si è occupato molto di cultura, cosa vorrebbe terminare?

Vorrei continuare il lavoro Europa Creativa, il più grande programma che si occupa di cinema, audiovisivo, cultura, musica, teatro. Un grande strumento che dobbiamo presentare e spiegare meglio alle nostre imprese creative e agli enti locali. Poi vorrei tornare a occuparmi di Erasmus, che è un grande strumento di inclusione e una possibilità per milioni di giovani. Infine vorrei continuare a occuparmi di diplomazia parlamentare, come ho fatto in particolare per i rapporto con il continente latino americano.

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