Simonetta Kalfus morta dopo una liposuzione, i Nas: “La sala operatoria era sporca e clandestina”

"Era clandestina e pericolosa". Dopo un sopralluogo durato 6 ore, viene descritto così lo stato in cui era ridotta la sala operatoria in cui Simonetta Kalfus ha perso la vita dopo essere stata sottoposta a un intervento di liposuzione.
Due giorni fa, giovedì 27 marzo, i carabinieri del Nas e della tenenza di Ardea dopo un sopralluogo avevano disposto il sequestro della sala operatoria su indicazione della Procura della Repubblica. Il provvedimento si inserisce nell'ambito delle indagini che stanno cercando di fare chiarezza sulla morte della 63enne, avvenuta dodici giorni dopo l'operazione a cui si era sottoposta il 6 marzo scorso. L'obiettivo è, infatti, quello di verificare se lo studio del chirurgo Carlo Bravi fosse a norma al momento dell'operazione.
Attualmente, sono tre i medici che risultano indagati per omicidio colposo. Secondo i primi risultati dell'autopsia, Kalfus sarebbe morta a causa di una grave sepsi, un'infezione che in breve tempo si sarebbe estesa agli organi vitali e che non le avrebbe lasciato scampo. Dopo l'intervento, eseguito in day hospital, la 63enne era stata rimandata a casa, ma già poco dopo aveva cominciato a sentirsi male. Una prima volta è stata portata all'ospedale di Pomezia, dove i medici l'hanno rimandata a casa con la raccomandazione di continuare a seguire la terapia antibiotica prescritta dopo l'intervento. La donna, però, ha continuato a peggiorare, fino al trasferimento all'ospedale Grassi di Ostia dove è morta il 18 marzo.
Secondo gli ultimi aggiornamenti delle indagini, i Nas avrebbero certificato che la sala utilizzata dal chirurgo Carlo Bravi non era uno spazio idoneo a ospitare interventi chirurgici. La sala nella quale la donna sarebbe stata operata era, infatti "clandestina e pericolosa" e all'interno "mancava anche l'impianto di aerazione".