Sgomberi delle case popolari: lotta alle mafie o guerra ai poveri? Serve chiarezza
Lo scorso 17 settembre, a pochi giorni dal primo turno delle elezioni comunali, con una vasta operazione le forze dell'ordine liberavano alcuni appartamenti della Torre 50 di Tor Bella Monaca. Le case popolari erano occupate da alcuni elementi del clan Moccia, potente gruppo camorristico da tempo insediato nella capitale e attivo soprattutto nello spaccio di stupefacenti. L'operazione nasce dalla denuncia coraggiosa dello strapotere del clan nel palazzone portata avanti da Tiziana Ronzio e dall'associazione TorPiùBella.
Mentre il tema delle contrasto alle mafie fatica a trovare un posto nella campagna elettorale l'operazione riporta al centro la questione del potere dei clan, che controllano direttamente intere zone della città assoggettate allo spaccio di stupefacenti, e della forza dei capitali mafiosi in una città nella morsa della crisi pandemica. Ancora una volta l'iniziativa della società civile arriva dove la politica fatica.
Oggi – a pochi mesi di distanza – dobbiamo però chiederci se quello che è seguito è lotta alle mafie o guerra ai poveri, districare storie diverse ed evitare di fare torti a chi non ha nessuna colpa.
Ma andiamo con ordine.
Lo scorso 23 febbraio un ampio schieramento di Polizia Locale e di Carabinieri procede a sgomberare quattro appartamenti occupati nella Torre 30 di Tor Bella Monaca in via Santa Rita da Cascia. All'interno vengono trovate 16 persone, tra cui alcuni minori. Alcuni sono elementi già noti alle forze dell'ordine, due cittadini stranieri vengono fermati in quanto senza documenti.
Alla Torre 30 pochi giorni prima una ragazza si è lanciata nel vuoto, da quanto ricostruito era sotto l'effetto di stupefacenti e le indagini ancora non hanno chiarito esattamente cosa sia accaduto. I due fatti sono messi in correlazione nella comunicazione sull'operazione da parte delle istituzioni e delle forze di polizia: le case occupate dagli abusivi sono centrali dello spaccio è il messaggio.
Qualcosa però non torna: il giorno successivo la giornalista di Romatoday Veronica Altimari pubblica un video in cui parla una delle donne sgomberate. È la madre di due figli, di cui uno disabile. Francesca Farina e il marito si arrangiano con diversi lavori a nero, alcuni anni fa stavano comprando una casa, avevano acceso un mutuo ma poi la crisi, lei ha perso il lavoro e il marito è finito in cassa integrazione. La casa finisce all'asta e loro non hanno i soldi per un affitto e devono far fronte anche alle spese di un figlio disabile. A loro, dopo essere stati additati come elementi dei clan, nessuno ha offerto una sistemazione alternativa se non una casa famiglia per lei e i due figli.
Passa meno di una settimana e questa mattina un analogo blitz va in onda a San Basilio. Anche questa volta la stampa viene informata in anticipo e si dà grande rilievo mediatico all'operazione. Arriva anche il suggello del sindaco Roberto Gualtieri: "A San Basilio altri 4 appartamenti Ater, occupati abusivamente da clan, sono stati liberati. Ringrazio le forze dell’ordine per l’eccellente lavoro di ripristino della legalità. Avanti così per restituire le case ai cittadini che ne hanno davvero diritto. Basta soprusi!".
Per le istituzioni il messaggio è inequivocabile: a occupare le case popolari sono i clan. Ma anche questa volta la realtà stona. In queste ore con il sindacato degli inquilini Asia Usb abbiamo verificato come almeno due delle famiglie coinvolte fossero si occupanti senza titolo, ma regolarmente in possesso dei requisiti per avere una casa popolare e di come avessero addirittura avevano presentato domanda di sanatoria. Ed ecco l'atteggiamento schizofrenico delle istituzioni: prima ti propongo di accedere a una sanatoria, poi ti sgombero additandoti come un criminale.
Occorre fare chiarezza su quanto sta accadendo iniziando con l'affermare alcune cose semplici:
- Il racket delle case popolari esiste, quanto quelle delle buone uscite. Chi è in possesso di una casa popolare vuota "vende" le chiavi a chi non si può permettere un affitto o fatica a pagarlo, ed è magari in lista di attesa da anni per avere una casa popolare. Il fenomeno è governato da gruppi criminali quanto da singoli cittadini che si mettono in tasca i soldi per lasciare la casa di un parente. Chi può investe tutti i suoi risparmi o si fa prestare i soldi ed entra dentro un'abitazione senza nessuna garanzia di rimanerci. Questo fenomeno interessa tutti i quartieri dove insiste l'edilizia residenziale pubblica, non solo quelli dove le organizzazioni criminali controllano il territorio tramite lo spaccio.
- Non possiamo accettare l'equazione inquilino senza titolo criminale o peggio un mafioso, come sia entrato in possesso dell'abitazione dove risiede cambia poco, ci troviamo sempre di fronte a un diritto negato. Faremmo un torto a decine di migliaia di cittadini che quasi sempre si sono trovati a essere "abusivi" per far fronte a una difficoltà materiale. Certo non è strano che ciò avvenga dove il welfare legato allo spaccio e ai clan è fondamentale per la sopravvivenza materiale di molte famiglie, perché qui lo Stato non c'è, le opportunità non ci sono e il livello di istruzione è basso.
- Le mafie ci sono a Roma e sono un tema purtroppo marginale nel dibattito pubblico. Combatterle è necessario. Lo devono fare le istituzioni e la società civile. Ma per farlo è necessario che lo Stato intervenga con equità e allo stesso tempo senza ambiguità. E questo vuol dire prima di tutto garantire i diritti. E se la casa è un diritto è necessario garantirla a tutti. La maggior parte degli illeciti e dei malcostumi sopra descritti verranno meno.
Un'ultima cosa: le case sgomberate alla Torre 50 e sottratte al Clan Moccia sono ancora vuote. Nessuno ha ancora trovato il tempo di riassegnarle.