Serena Mollicone, indagati sapevano delle cimici nelle auto: “Carabinieri visti mentre le montavano”
I carabinieri indagati per la morte di Serena Mollicone si erano resi conto subito delle cimici installate sulle loro auto. Lo ha dichiarato ieri mattina nella nuova udienza davanti la Corte d'Assise il luogotenente Massimo Polletta, che ha ricostruito in aula le nuove indagini aperte nel 2016 per l'omicidio della 18enne. Gli indagati, l'ex comandante dei carabinieri di Arce Franco Mottola, il figlio Marco, la moglie Anna Maria, il luogotenente Vincenzo Quatrale e l'appuntato Francesco Suprano accusato di favoreggiamento, sono stati intercettati per circa un anno, ma si sarebbero accorti subito delle cimici. Quella installata nell'auto di Quatrale è stata trovata praticamente subito dal luogotenente, ed è stata poi subito dismessa in quanto perfettamente inutile a quel punto. Mentre l'ex comandante dei carabinieri Franco Mottola, chiamato con una scusa in caserma, ha sorpreso i colleghi mentre installavano le cimici sulla sua auto. Non hanno trovato troppi riscontri nemmeno le intercettazioni di Marco Mottola, dato che non usciva quasi mai di casa e non parlava mai con nessuno.
L'omicidio di Serena Mollicone nel 2001 ad Arce
Secondo quanto emerso dalle indagini riaperte nel 2016, Serena Mollicone fu uccisa nel 2001 all'interno della caserma di Arce perché voleva denunciare il figlio dell'allora comandante Franco Mottola per spaccio di droga. "Il figlio del maresciallo Mottola si fa le canne e spaccia, bell'esempio per Arce. Prima o poi lo vado a denunciare", avrebbe detto la giovane al fidanzato una settimana prima della sparizione. Secondo l'accusa, una volta arrivata nella caserma dei carabinieri la 18enne avrebbe cominciato a litigare con Marco Mottola, venendo poi aggredita. Serena avrebbe sbattuto la testa contro una porta, cadendo a terra svenuta. La famiglia Mottola, credendola morta, l'avrebbe poi portata in un boschetto e soffocata con un sacchetto di plastica. Serena è stata trovata nel bosco tre giorni dopo la sua scomparsa: aveva mani e piedi legati con delle fascette e una busta di plastica in testa. Le indagini, andate avanti tra depistaggi e omissioni, non avevano allora permesso di arrivare alla verità. Fino a oggi, con la celebrazione di un nuovo processo, che potrà forse dirci cos'è accaduto vent'anni fa a quella giovane di 18 anni.