Sequestro per estorsione: il leader della comunità bengalese a Roma Bachcu rinviato a giudizio
Bachcu, il rappresentante della comunità bengalese Dhuumcatu a Roma, è stato rinviato a giudizio per sequestro a scopo di estorsione. Avrebbe infatti sequestrato un suo connazionale trentenne per farsi dare dei soldi dopo un prestito, 107mila euro e si trova ristretto ai domiciliari. Denaro che alcuni uomini vicini a lui avrebbero dato a due amici della vittima, per procurarsi il permesso di soggiorno. Bachcu, all'anagrafe Alam Nure Siddique, cinquantanove anni, è molto conosciuto tra la comunità bengalese a Roma per aver organizzato manifestazioni contro le aggressioni razziste subite dai connazionali.
Nel sequestro coinvolti altri 4 connazionali
A far scattare le indagini sono stati i famigliari della vittima, che si sono rivolti alle forze dell'ordine, dopo aver saputo che il trentenne era rimasto con mani e piedi legati per due giorni con un'arma puntata contro. Come riporta Il Corriere della Sera in un articolo il pubblico ministero della Procura della Repubblica, che ha chiuso le indagini è convinto che Bachcu avrebbe un ruolo chiaro nel sequestro del trentenne bengalese e nell'estorsione del denaro. Oltre a lui nel sequestro a scopo di estorsione sarebbero coinvolti altri quattro connazionali, difesi dagli avvocati Sergio Stravino e Valerio Cassio.
Il ruolo di Bachcu sequestro di persona per estorsione
Bachcu è stato arrestato ad aprile scorso dagli agenti della Polizia di Stato del Commissariato Viminale e i militari della Stazione di Roma Torpignattara, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia. Il sequestro risale al 30 ottobre del 2022 a Torpignattara. A denunciarne la scomparsa è stata la compagna della vittima, rintracciata in un hotel di Carsoli, in provincia de L'Aquila. Gli agenti hanno trovato altri tre cittadini bengalesi e li hanno arrestati.
La vittima del sequestro si è presentata dai carabinieri a novembre del 2022, per parlare del rapimento. Ha spiegato di aver ascoltato le conversazioni telefoniche tra i sequestratori e un altro connazionale, considerato appunto il leader della comunità bengalese romana. Ha raccontato che i sequestratori avrebbero agito con violenza, trascinandolo fuori da un ristorante in pieno giorno e costringendolo a salire su un’auto. L'avrebbero preso a pugni sul volto e sul corpo, coprendogli poi gli occhi con una benda e la bocca con un pezzo di stoffa, per non farlo urlare. La vittima era già stata sequestrata in due diverse occasioni, per ottenere il pagamento del debito.