Sanremo 2022, intervista a Katoo: “Questa generazione ha tanto da dire, diamogli i mezzi per farlo”
Sanremo non è solo l'artista che sale sul palco e canta con maestria il brano. È anche l'enorme lavoro che c'è dietro le quinte, senza il quale quel risultato non sarebbe stato possibile. Francesco ‘Katoo' Catitti, classe 1984, è il produttore e autore che ha curato le musiche di Michele Bravi e Rkomi. Viene dalla periferia di Roma nord, dalla zona che ha visto artisti come Achille Lauro e Gemitaiz spiccare il volo. La sua palestra è stata quella nata nelle scuole e negli spazi sociali tra Montesacro e il Tufello, e che hanno formato moltissimi musicisti e autori che oggi dominano la scena musicale.
Quest’anno sei a Sanremo con le musiche di Michele Bravi e Rkomi. Com’è sentire pronunciare il proprio nome dal palco dell’Ariston?
Non mi reputo un veterano, ma essendo il mio terzo festival può capitare che si inorgogliscano più gli amici e i parenti. Avevo partecipato nel 2017 come produttore con ‘Il Diario degli Errori' di Michele Bravi, dopodiché come autore sono comparso l'anno scorso nel pezzo di Gio Evan. Certo, è sempre bello essere inserito nella storyline dell'evento musicale italiano più chiacchierato di sempre. La cosa più importante secondo me è però il risultato qualitativo che porti a casa, legare il tuo nome a qualcosa che sia bello. Mi pare che per ora con questi due pezzi (‘Inverno dei Fiori' di Michele Bravi e ‘Insuperabile' di Rkomi) ci siamo riusciti, la soddisfazione è tanta.
Il ruolo dell’autore è fondamentale nell’industria musicale, e mano a mano che passa il tempo acquista sempre più importanza. Com’è cambiato questo mestiere negli ultimi anni?
C'è stata una transizione tra l'autore classico della Seconda repubblica della musica italiana, come ho sentito dire da Cremonini a Fedez, e la terza che stiamo vivendo ora. Prima partiva la canzone con gli accordi, il pianoforte, il testo e la melodia. Adesso il mio ruolo è quello di songwriter/producer, il produttore-autore che sta con i piedi in entrambe le scarpe. Nel mio caso, per esempio, dirigo un po' la rotta del pezzo ma non mi occupo di cose tecnico/specifiche come la linea melodica o il testo, o lo faccio solo quando sono convinto si tratti di buone idee. Mi affianco sempre a persone che ormai sono di fiducia e il più delle volte fanno parte della scuderia Universal Publishing, di cui faccio parte, ma non solo. Nel pezzo di Michele Bravi ad esempio c'è anche Alex Vella di Warner, quindi non esistono veramente casacche. E con loro, ma anche insieme all'artista stesso, oggi di solito ci si mette insieme a scrivere e contemporaneamente arrangio il più possibile, possedendo il potenziale tecnico per farlo. Poi nel caso di Michele, ad esempio, bisogna anche registrare l'orchestra, e per quello servono competenze particolari e nel mio caso riesco a barcamenarmi abbastanza bene, magari con l’aiuto e supervisione di maestri di fiducia. Ma è tutto molto “mischiato”. Più capacità hai, più riesci – si spera – a tirare fuori qualcosa di buono e magari andare in classifica.
Vieni da un quadrante di Roma che ha dato i natali ad artisti come Gemitaiz, Achille Lauro, Rancore, Colle Der Fomento, e altri. Possiamo dire che nella periferia romana, soprattutto nella zona che gravita intorno al Tufello, c’è un importante fermento culturale?
Assolutamente si, c'è stato, e c'è anche in questo momento. C'era un humus culturale quando andavo al liceo, che all'epoca era diviso tra Aristofane e Orazio, e si era creato questo circolo virtuoso di ragazzi in fissa con la musica che avevano la band, e a cui era data la possibilità di suonare. Nelle scuole c'erano i concerti, c'erano spazi concessi e messi a disposizione, e dove non c'erano ce li prendevamo. Questi spazi hanno formato tutti i musicisti, i produttori, e gli autori che adesso lavorano. Dall'hip hop fino al punk rock, si condivideva molto, a me ad esempio piaceva il punk rock ma apprezzavo molto anche i testi di Noyz Narcos. C'è stato un momento magico lì, penso pure a Caucci di Bombadischi che ha rivoluzionato il pop con Calcutta, sono nate tantissime figure. Secondo me in quel quadrante di Roma nord è successo qualcosa a un certo punto per cui ci siamo trovati tutti a condividere, ed è quella la cosa particolare.
Oggi è ancora così?
Oggi è diverso. Mettiamoci anche la pandemia di mezzo, ma gli spazi sono meno disponibili. Dico una cosa che oggi suonerà da boomer, all'epoca c'erano posti che fungevano da centro di aggregazione come il centro sociale, mi ricordo lo Zoobar, l'ex Maggiolina. C'erano situazioni in cui venivi coinvolto e cominciavi già a muovere i primi passi. Oggi, da quello che vedo, i ragazzi sono un po' tutti soli: hanno sempre la tendenza ad aggregarsi, ci sono belle scene a Napoli e a Roma, come i True Collective a Napoli che sono super interessanti, ma sono formule di collaborazione diversa, più atomizzata. All'epoca c'era anche meno internet, e per forza dovevi incontrarti e suonare live. Contava quanto suonavi bene e spaccavi la faccia dal vivo, adesso c'è l'aspetto produttivo che ha preso un'importanza diversa, ma proprio per questo dobbiamo portare un certo tipo di attitudine. La condivisione c'è, è aumentata, ma è più liquida e vaporizzata. E questo nel mercato si produce in un altro tipo di risultato, con pezzi che schizzano su e durano meno. C'è molta più velocità, con i suoi pro e i suoi contro. Secondo me questa generazione che sta facendo musica ha un sacco di cose da dire, forse più della mia. Il ruolo che deve ricoprire chi sta nella mia posizione è di dare loro gli strumenti migliori per farlo, eliminando il più possibile l'ego e mettendosi sempre a disposizione dell'artista. Deve esserci connessione tra le persone, più l'attitudine rimane quella nell'affrontare le cose, più il mio lavoro prende senso.
Anni fa avevi fondato i The Electric Diorama, band che ha avuto all’epoca un gran successo. Quanto ha influito questa esperienza, tra l’altro nata sempre nel quartiere, sulla tua formazione e sullo sviluppo dei tuoi progetti futuri?
È stata fondamentale, mi ha permesso di fare cose che oggi è molto difficile fare. Oggi se vai in tour lo fai perché ci sono già delle basi per farlo. All'epoca strutturavi da solo la tua situazione, mettevi la band su myspace e speravi che qualcuno ti andasse a sentire. Come produttore mi ha insegnato a fare un sacco di cose, come registrare batterie e chitarre, cose che per me che sono pianista erano aliene. E questo mi permetteva di confrontarmi con un sacco di gente che mi diceva di registrargli il disco, e io lo facevo anche se non lo sapevo fare. Che poi magari è anche come iniziano i ragazzi oggi. Essermi confrontato con l'Europa, siamo stati anche ad Austin in Texas, avere quell'attitudine un po' punk, sicuramente più spensierata rispetto agli anni '70, oggi mi è molto utile. Il pezzo di Mirko, ‘Insuperabile', nasce un po' da lì. Oggi si sente il bisogno di tornare a suoni un po' più organici e per Mirko ho buttato giù ‘sto riffone con cui siamo andati tutti in fissa, era una freccia che avevo nella mia faretra e ha funzionato. Poi lì è anche un discorso di curiosità, più cose ascolti e ti piace fare, più riesci a combinare. L'attitudine a fare le cose divertendomi – che poi era l'attitudine con cui facevo tutto all'epoca, perché soldi con la band non ne abbiamo mai visti – cerco di tradurla poi in studio. Motivo per cui la maggior parte delle volte c'è un'atmosfera rilassata e produttiva, non è che ogni volta deve uscire la hit. Però se intanto ti sei fatto una giornata, e alla fine pensi "lo sai che c'è, il pezzo è figo e mi sono pure divertito", alla fine il tempo non l'hai buttato.
Oltre ovviamente le tue, quali sono le canzoni in gara che più hai apprezzato?
Da Mahmood e Blanco non mi aspettavo nulla di meno, conoscendo bene Ale sono due fuoriclasse e si sono prodotti in un'esecuzione del brano di pari livello. Dargen totale, è un tipo di zarraggine estremamente intelligente. Poi lo dico, il mio guilty pleasure è assolutamente Ana Mena, che è non è stata trattata bene dalla stampa, ma a me quella roba mi gasa, e la vedo comunque premiata dagli streaming. Facevo il Tromborama a Roma (serata dj EDM di qualche anno fa), non può non piacermi, scorre nelle mie vene anche quello. Poi ottimo Sangio, il bravissimo Matteo Romano, Elisa divina, Rappresentante pezzone e Ditonellapiaga+Rettore rivelazione, Irama esecuzione fantastica. Qualità comunque tutta piuttosto buona.