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Roma può rinascere a partire da una intersezione: quella tra femminismo e beni comuni. Si può fare

Dopo la città “dura” degli uomini fatta di vetro e cemento, possiamo dare vita alla città “morbida” immaginata dalle donne: la città del rispetto, delle relazioni, dei sogni e dei desideri. Un esempio concreto sta venendo con la Casa delle Donne Lucha y Siesta, messa all’asta dall’Atac e salvata dalla Regione Lazio, per farne un bene comune e salvare la casa rifugio e l’esperienza femminista che la abita. Lo racconta Marta Bonafoni, consigliera regionale e promotrice della lista Roma Futura.
A cura di Redazione Roma
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Di Marta Bonafoni

Roma non è una città per donne.

A Roma è difficile persino perdersi, per tante di noi, ci mancano i punti di riferimento. Nulla di inspiegabile visto che le città, sostanzialmente tutte le città, sono state nei secoli progettate, costruite e programmate dagli uomini.

Roma è una città piena di barriere di genere: ce ne sono di fisiche, ossia barriere architettoniche in una metropoli incapace di essere accogliente per “gli estremi” (gli anziani e le anziane, i bambini e le bambine, i disabili); ci sono barriere sociali, pensiamo ai diversi indici di dispersione scolastica o di occupazione femminile che troviamo da una parte all’altra della città; le barriere economiche, come le differenze di reddito che sfiorano disuguaglianze che spalancano vere e proprie ferite all’interno dei municipi; infine le barriere simboliche, di cui la grande questione della toponomastica è soltanto la punta dell’iceberg, una gigantesca “strage di memoria” che vede le nostre strade intitolate dopo gli uomini a continenti, Paesi, animali, piante, fiori… a tutto fuorché alle donne che hanno attraversato i secoli e la società.

Roma dunque non è una città per donne, ma è una città in cui le donne, il movimento femminista, ha rappresentato in questi anni faro e presidio di un altro modello di comunità che si è fatto in diversi casi modello di governo. Come nel caso di Lucha Y Siesta.

In questo senso la battaglia vinta da Lucha quest’estate, e ancor di più quella che le attiviste di via Lucio Sestio si apprestano a rilanciare, non parla semplicemente di un immobile pubblico strappato alla speculazione privata, ma di una traiettoria di futuro che potrà essere bussola per la Roma che verrà. La vertenza che ha visto lo scorso 25 agosto la Regione Lazio aggiudicarsi l’asta per l’acquisto dell’immobile di Cinecittà finito nel concordato fallimentare di Atac, manda più di un messaggio a chi si propone di governare la Capitale per i prossimi anni. Innanzitutto la Regione Lazio, con una battaglia coraggiosa e inedita, ha dato senso alla parola “valorizzazione” del patrimonio pubblico, non s/vendendolo ma anzi acquisendo città pubblica e allargando il proprio patrimonio a disposizione della collettività. Abbiamo deciso cioè di far prevalere la città dei diritti su quella della contabilità, affrontando una trattativa su un doppio binario: da una parte quello amministrativo con la curatela fallimentare di Atac, dall’altra il tavolo con le attiviste di Lucha Y Siesta, attento a considerare il primo binario funzionale al secondo.

Non solo via Lucio Sestio 10, ossia quelle mura con annesso giardino, ma Lucha Y Siesta, ossia il patrimonio di relazioni che la casa delle donne ha saputo inventare e moltiplicare: con le donne ospiti, con la comunità territoriale, con la città. Questa sfida ora arriva a una nuova fondamentale tappa, quella della gestione di Lucha Y Siesta. Ed è qui, in questa intersezione generativa tra femminismo e disciplina sui beni comuni, che noi potremo – se saremo brave e bravi – trovare una risposta innovativa e inedita valida per Lucha ma anche per gli spazi sociali di tutta la città.

Il primo round della battaglia ci ha dato ragione: percorrere strade nuove non è impossibile. Dopo la città “dura” degli uomini fatta di vetro e cemento, possiamo dare vita alla città “morbida” immaginata dalle donne: la città del rispetto, delle relazioni, dei sogni e dei desideri. Una città si-cura perché attraversata dai corpi delle sue cittadine e dei suoi cittadini, fuori da una neutralità solo apparente, che ci ha consegnato negli ultimi cinque anni la prima donna sindaca di Roma, autenticamente nemica delle donne.

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