Roberto Saviano racconta gli affari delle mafie a Roma: “È il cuore pulsante dell’economia criminale”
Il 9 luglio 2024 la Direzione Distrettuale Antimafia ha eseguito 18 arresti nei confronti di altrettante persone, accusate di far parte di due organizzazioni dedite al riciclaggio di milioni di euro dei clan di camorra e ‘ndrangheta nella capitale. In tutto sono 57 le persone imputate a vario titolo di far parte della rete criminale che permetteva di investire i profitti delle attività illegali in molteplici settori, dal cinema ai prodotti petroliferi. A "pulire" i soldi tramite figure come Antonio Nicoletti, figlio di Enrico Nicoletti lo storico "cassiere" della Banda della Magliana, Vincenzo Senese, figlio del boss Michele ‘o Pazzo, o l'ex delfino di Gennaro Mokbel Roberto Macori, troviamo i clan di camorra come i Mazzarella-D'Amico, le cosche della ‘ndrangheta come i Mancuso e i Mazzaferro. "Un'inchiesta che mostra ancora una volta se ce ne fosse stato bisogno, che il battito cardiaco del sistema criminale del paese, è la capitale".
"Qui se ti siedi con una guardia non sei infame"
In un video per Fanpage.it Roberto Saviano racconta l'inchiesta e cosa emerge dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni dei pentiti. E inizia dal commentare un'intercettazione ambientale in cui Umberto Luongo, figura apicale del clan Mazzarella di San Giovanni a Teduccio, racconta come "funzionano" le cose a Roma.
Queste le parole di Luongo:
Ma io ti dico una cosa, qua se uno parla con le guardie sei un infame quello è infame. Ma Roma se tu parli con le guardie è proprio la politica loro là. A Roma è un circuito proprio di politica… allora là stanno solo guardie, il ministero, l’onorevole. Allora per esempio se qua ti siedi con una guardia sei infame… là se ti siedi con una guardia sei buono perché là è politica, perché Roma è politica. allora là io ho visto gente che va seduta con le guardie là è normale è normale.
Ma cosa intende il camorrista con "guardie"? "Intende con guardie le istituzioni – spiega Saviano – e fa un commento davvero antropologicamente interessante. Dice che mentre a Napoli se io mi siedo con un vescovo, se io mi siedo con un poliziotto, con un questore, con un politico, rischio di passare per infame, cioè come colui che sta frequentando una figura che potrebbe contrastarlo, quindi che si sta vendendo informazioni, a Roma è il contrario. A Roma devi sederti con il poliziotto, devi sederti con il vescovo, devi sederti con il giudice, devi sederti con il politico perché fa parte dell'affare criminale".
"A Roma la politica è la mafia"
Se a Napoli i confini sarebbero più netti tra chi sta da una parte e chi dall'altra, agli occhi di Luongo la capitale funziona diversamente. "A Roma non c'è questa chiarezza, non c'è il mondo criminale, il mondo dei corrotti e poi tutto il resto. – aggiunge Saviano – Ma qualcuno che oggi puoi corrompere domani te lo puoi trovare in prima linea contro di te". Lo scrittore poi commenta ancora le parole riportate nell'ordinanza di arresto: "Perché la politica là è la mafia… la politica là è in mezzo la via la politica è a Roma, come noi qua in mezzo la via siamo noi, invece là è la politica in mezzo la via". Se "in miezz'a via" a Napoli c'è la camorra, a Roma c'è anche la politica: "Questa interpretazione ci fa capire come i criminali del Sud stiano guardando Roma, e come siano stupiti dei livelli di corruzione della capitale".
A Roma alleanze tra mafie impossibili sui territori d'origine
Il quadro che emerge dall'inchiesta è particolarmente interessante poi per capire come le mafie tradizionali intendano i loro interessi su Roma. Secondo gli inquirenti quello che Salvatore Pezzella – che garantisce gli interessi del clan Mazzarella e non solo a Roma – chiama “business”, altro non è che “la determinazione di un controllo territoriale del clan traslato sul lato astratto di uno spazio non fisico ma economico”.
"La camorra dismette l'idea a Roma di un controllo militare, di un controllo fatto di corpi, strade. Il territorio nuovo è un territorio economico, quindi astratto. I luoghi dove investire, i ristoranti da comprare, le società da infiltrare", spiega Saviano. E proprio l'assenza del controllo territoriale cambia anche alcune regole del gioco, rendendo possibili convergenze e alleanze che altrove sarebbero impossibili. Racconta ancora l'autore di Gomorra: "I D'Amico e i Mazzarella investono insieme ai Mazzaferro e i Morabito ìndranghetisti. Sui loro territori non lo farebbero mai, vivrebbero questo sodalizio come una autorizzazione a intervenire nei loro territori fisici. Invece a Roma semplicemente un'alleanza è un modo di comprare con punti di sconto maggiori, più cose compri a meno le paghi".
A condurre il gioco una generazione di manager criminali che, non solo sono capaci a investire e a costruire reti di società fittizie o destinate a fallire per riciclare i soldi, ma sanno anche mantenere e gestire equilibri e relazioni tra clan, sanno avvicinare e corrompere uomini delle forze dell'ordine (tanto da sapere in anticipo delle operazioni contro di loro), all'occorrenza ordinare azioni violente. Figure capaci allo stesso tempo in grado di parlare la lingua della criminalità organizzata e quella degli affari, di attraversare entrambi i mondi.
"Cognomi criminali non fanno paura, sono garanzia di buona riuscita per gli affari"
Come detto c'è Antonio "Toni" Nicoletti, figlio di Enrico che dal padre ha ereditato una fitta rete di conoscenze che gli consentono di operare, ma c'è anche Vincenzo Senese, figlio di quello che Saviano definisce come "l'unico vero boss mafioso di Roma". Michele Senese è colui che quando arriva a Roma tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, in una città "che non conosce mafie ma solo bande", importa un'altra mentalità.
"Sapete chi ha conquistato Roma? Fa molto ridere. Afragola, un paesone dell'entroterra napoletano, da cui viene una delle famiglie criminali più potenti del mondo occidentale, i Moccia. E i Moccia già dagli anni 70 guardano Roma, guardano Roma perché hanno potere della distribuzione, generi alimentari, mercato ortofrutticolo, cemento, soprattutto cemento, distribuzione, benzina, camion e capacità di immettere in questi settori il denaro della droga". E questa è un'altra storia, ma solo in parte, perché i cognomi Nicoletti e Senese sono una garanzia per chi deve investire che gli affari "andranno a buon fine". Nella capitale in tanti non hanno paura di esservi accostati, perché dove sono loro i soldi arrivano, e ne arrivano tanti.
"Michele Senese si è preso Roma"
L'inchiesta "Assedio" fotografa anche un momento di difficoltà dei Senese. In diversi li considerano un gruppo criminale in declino, altri si fanno avanti, spingono, vogliono entrare negli affari, allargarsi. Dice uno degli indagati intercettato: "Ma è finita sta gente… tanto rispetto per il padre, il padre se sta fuori è criminale… il padre è vecchio stampo… il padre, in se per sé, le tiene le cose lo fa è un altro livello… il padre si è preso Roma". Ma Michele Senese è in carcere ormai da anni, e secondo molti i figli Angelo e Vincenzo in strada non si sanno far valere abbastanza.
È il 2019, qualche mese dopo le cose cambieranno, come racconta Saviano: "Che vuole dire? Vuole dire che i senesi hanno delegato troppo. Ma attenzione, questa inchiesta del 2019, quello che sta accadendo negli ultimi mesi, sembra quasi aver ascoltato questa critica. Perché il cartello senese ha smesso di delegare e lo ha fatto proprio da quel 7 agosto 2019 quando viene ammazzato Piscitelli Diabolik al Parco degli Acquedotti. Il cartello capisce che non può più delegare a figure ibride, il clan vuole tornare a controllare ogni segmento, se lo riprende, non delega fa una stretta".
Gli investimenti dei clan: benzina e cinema
Dall'inchiesta infine emergono alcune delle attività privilegiate dove investono i clan: il cinema e i prodotti petroliferi. "Avete presente le pompe di benzina di marchi sconosciuti che a un certo punto hanno cominciato spuntare a Roma? Gran parte di queste servono a vendere i prodotti petroliferi dove investono le mafie, la camorra e la ‘ndrangheta, tramite società destinate a fallire".
E poi il cinema, per tramite di una figura come quella di Daniele Muscariello che, come scrive il gip, "recluta gli imprenditori da assoggettare al sistema di riciclaggio e mantiene costanti rapporti con le istituzioni e le forze dell’ordine. Muscariello produce film e video musicali". Anche lui è un manager, un imprenditore, ma anche un criminale: "Succede spesso che queste figure abbiano sia un profilo imprenditoriale senza rinunciare a un profilo attivamente criminale, in senso militare intendo, infatti dalle carte dell’inchiesta emergerebbe come uno dei sodali di Muscariello sia proprio Elvis Demce, il feroce boss della mafia albanese a Roma, anche lui formatosi nel gruppo Senese a cui Muscariello chiede di punire un imprenditore che non aveva pagato un debito e gli ordina “deve pagare con le dita”.