Rientro a scuola, ma mancano docenti e mediatori culturali. E i presidi vogliono chiarezza
La scuola non è ancora ricominciata, ma è già in ritardo. Lo ha rivelato il preside Mario Rusconi, presidente a Roma dell'Associazione Nazionale Presidi, spiegando anche che, a pochi giorni dal mese di settembre, alcune delle disposizioni arrivate da parte del Ministero dell'Istruzione non sono chiare. E poco importa se l'apertura di quest'anno sembra ricordare un qualsiasi rientro in aula del periodo prepandemia, i problemi restano e aumentano. Il nuovo anno scolastico è alle porte, ma mancano all'appello ancora insegnanti di ruolo e mediatori culturali, le condizioni in cui versano le classi restano, in numerosi casi, fatiscenti e a tutto questo si aggiunge anche la difficoltà di doversi attenere ad indicazioni spesso non ben definite.
Decine di cattedre ancora scoperte
Accadeva anche nel periodo precovid: così pochi giorni da settembre, mancano ancora docenti di ruolo. Si stima che le cattedre ancora scoperte siano decine di migliaia nel nostro Paese. "Questo non vuol dire che gli studenti resteranno senza insegnanti: al rientro saranno le scuole stesse ad attingere alle proprie graduatorie interne, come misura emergenziale. Soltanto in seguito dagli uffici regionali, arriveranno i nomi dei docenti di ruolo: si tratta di un meccanismo perverso, precedente al Covid, che chiediamo da tempo di cambiare. Questo però vuol dire cambiare docenti a gennaio o febbraio, quasi a metà dell'intero anno scolastico, creando difficoltà soprattutto agli studenti: è già accaduto lo scorso anno".
Disposizioni ministeriali: serve chiarezza
Addio alle misure di contenimento e prevenzione degli ultimi tre anni: il rientro a scuola quest'anno ci riporta all'inizio del 2019, quando la pandemia rappresentava un'utopia per molte persone. "A meno che il covid non voglia di nuovo aggredirci durante l'autunno e l'inverno, verranno meno le disposizioni a cui ci eravamo dovuti abituare negli ultimi anni – ha spiegato il preside Rusconi, prima di portare alla luce delle incongruenze – Ma nelle linee guida del Ministero della Salute ci sono indicazioni non chiare. Si dice che le mascherine FFP2, ormai non più obbligatorie, dovranno essere indossate dalle persone più fragili e a rischio: ma secondo quali parametri, servirà un certificato medico? Non può essere la scuola a stabilire chi deve indossare la mascherina".
Secondo queste indicazioni anche la didattica a distanza scompare: "Una seconda delucidazione è proprio su questa modalità di insegnamento: nell'ipotesi in cui dovessero esserci contagi fra studenti, si potrà mettere di nuovo in funzione la Dad? Noi vorremmo che, nel caso in cui lo studente dovesse essere assente per aver contratto il coronavirus, possa almeno continuare a seguire le lezioni. La Dad non deve essere totalmente demonizzata: nei casi di necessità può essere utile". Sta facendo molto discutere, a questo proposito, la possibilità di chiudere le scuole il sabato per combattere la crisi energetica e risparmiare su gas e luce. In questo caso i l'Associazione Nazionale dei Presidi sembra fare fronte comune: non essendo possibile immaginare una riduzione sugli orari o sulle giornate scolastiche, la soluzione potrebbe essere proprio la didattica a distanza, da attivare un giorno a settimana.
Classi "pollaio" e l'analisi della qualità dell'aria
Per quanto riguarda le strutture, in questi quattro anni di contagi e tamponi, il coronavirus non ha insegnato nulla al mondo della scuola. "La speranza è quella che il covid si arresti il prima possibile, anche perché nel caso in cui dovesse tornare la necessità di reintrodurre il distanziamento, non potrà essere garantito: nel corso di questi anni non è stato nulla contro le cosiddette aule pollaio, non sono state trovate nuove strutture o soluzioni alternative, soprattutto nelle scuole superiori". Poco è stato fatto anche sul fronte dei sistemi di areazione, spesso troppo costosi per essere installati o poco utili a fronte di classi così affollate: nella scuola in cui lavora il preside Rusconi, l'Istituto Pio IX, i purificatori sono arrivati lo scorso anno. Su questo si è espresso anche il ministero che, nelle sue indicazioni, ha suggerito ai presidi di consultare Arpa e Asl per avere delle verificare la qualità dell'aria: "Alcuni colleghi lo hanno già fatto, ma gli è stato risposto che non è di loro competenza: da una parte il ministero della Salute suggerisce delle disposizioni, ma dall'altra non c'è riscontro da parte gli enti chiamati in causa. Occorre maggiore coordinamento – ha spiegato – Altrimenti saremo costretti ad affidarci alle finestre aperte, anche in pieno periodo invernale, per cambiare l'aria: prepariamoci, non sarà facile far adattare gli studenti. E non è escluso che si possano vedere alunni e alunne seguire le lezioni con berretti, sciarpe e cappotti, soprattutto nei giorni immediatamente precedenti e immediatamente successivi alla pausa invernale, quando spesso i termosifoni sono spenti e nelle classi si toccano non più di 8 gradi".
L'impatto della guerra in Ucraina sulle scuole
Dall'aprile scorso, nelle classi già molto frequentate, si sono aggiunte bambini e ragazzi in fuga dalla guerra in Ucraina: il problema degli spazi, sempre troppo stretti, è stata raggirato dividendo i nuovi studenti in maniera omogenea fra le classi e le scuole. Ciò che manca, adesso, sono mediatori e mediatrici culturali che possano occuparsi di aiutarli nel percorso del nostro Paese: "Stiamo aspettando indicazioni per trovare i mediatori culturali che mancano: l'esito della ricerca dipenderà dal ministero, dagli enti locali e anche dalle associazioni di volontariato. Speriamo che si possa risolvere in breve tempo. Nel frattempo stiamo anche cercando libri di testo che possano insegnare l'italiano anche a chi non lo parla, per permettere ai bambini e ai ragazzi ucraini, già provati dalla loro esperienza, di potersi ambientare al meglio nella nuova scuola".