Pietro Orlandi e le piste sulla scomparsa di Emanuela: commissione di inchiesta continua a porte chiuse
Ribadisce la sua fiducia nelle istituzioni Pietro Orlandi, chiamato in audizione nell'ambito della commissione bicamerale d'inchiesta sulla scomparsa di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi. "Spero possa fare chiarezza sulle piste, quelle da prendere in considerazione e quelle false. A partire dal famoso personaggio dell'Avon. Quello lo considero un primo depistaggio".
Poi, per prima cosa, consegna alla commissione lo stesso fascicolo dato ad Alessandro Diddi, procuratore del Vaticano e alla Procura di Roma con un'ulteriore aggiunta di nuovi elementi che sono emersi negli ultimi mesi. "Lo facciamo perché vogliamo agire con spirito di trasparenza", ha dichiarato a Fanpage.it l'avvocata Sgrò a questo proposito.
Pietro Orlandi ripercorre tutto quanto è emerso fino ad ora sul caso. Inizia a parlare delle tre diverse piste dal dottor Capaldo che avrebbe avuto un "incontro con due emissari del Vaticano (Giani e Alessandrini), nel quale c'è stata una sorta di ammissione da parte del Vaticano di essere a conoscenza di alcuni fatti", a quella quella di Londra, fino al mistero delle chat di Whatsapp tra due persone vicine a papa Francesco che parlano della presenza di documenti relativi ad Emanuela in Vaticano.
Ma è proprio mentre sta ripercorrendo quella nota come "pista di Londra" e dei Nar che il presidente De Priamo chiede di continuare l'audizione a porte chiuse. "È una delle tesi più recenti, basata su un documento che non risulta ancora essere stato consegnato alla Procura di Roma – spiega lo stesso De Priamo a Fanpage.it – Per questo abbiamo ritenuto necessario, per motivi istruttori, di svolgere il resto dell'audizione in forma segretata".
L'audizione dei familiari di Emanuela Orlandi
Prima di Pietro, anche le tre sorelle Maria Cristina, Federica e Natalina. Le loro testimonianze sono state raccolte dopo un breve intervento del presidente della commissione, Andrea De Priamo, senatore di Fratelli d'Italia che, che ha ricordato Andrea Purgatori. La prima a parlare è Maria Antonietta Gregori, la sorella di Mirella secondo la quale questa commissione rappresenta "l'ultima spiaggia". Dopo è il turno delle tre sorelle di Emanuela.
Le testimonianze delle tre sorelle Orlandi: l'ultima chiamata di Emanuela
La chiamata dalla scuola di musica, il lavoro offerto dall'Avon con il relativo compenso. La paura di scoprire le fosse accaduto qualcosa. E invece, a quasi 41 anni di distanza dal giorno della sua scomparsa, di quanto avvenuto ad Emanuela Orlandi ancora non si sa niente. A parlare, per prime, di quei momenti, sono le tre sorelle di Emanuela. Maria Cristina, appena tredicenne e troppo piccola per ricordarsi di quei giorni concitati con precisione, Federica e Natalina Orlandi.
"Sono stata l'ultima a sentire Emanuela, per telefono – racconta Federica – Ero a casa, i miei erano usciti ed è arrivata la sua chiamata dalla scuola di musica. Voleva parlare con mamma perché prima di entrare a scuola era stata avvicinata da un ragazzo che le aveva proposto un lavoro per conto dell’Avon per il sabato successivo per una sfilata delle sorelle Fontana". Una storia che molti, forse, hanno già sentito almeno una volta.
"Il compenso era di 350 mila lire. Io sono rimasta perplessa, ho pensato potesse trattarsi di un truffatore e le ho detto di tornare a casa, che prima ne avremmo dovuto parlare con mamma – continua – Ma quella sera non è tornata".
"Abbiamo provato a denunciare: ci hanno quasi riso in faccia"
Emanuela quella sera non ha fatto rientro a casa. La famiglia, preoccupata, ha deciso di avvisare e chiedere aiuto alle istituzioni. "Siamo andati a fare la denuncia ma non è stata accettata: ci hanno detto che era troppo presto. All'inizio abbiamo pensato tutti ad un maniaco".
La preoccupazione in casa Orlandi si è fatta sentire fin da subito. "Io stavo lavorando quando è successo. Mia madre alla finestra mi ha detto che non si trovava più Emanuela – aggiunge poi Natalina Orlandi – Doveva vedersi con un'amica", ricorda.
"Abbiamo pensato che potesse essere rimasta vittima di un incidente e abbiamo chiamato gli ospedali – dice, prima di ricordare anche lei della denuncia respinta – Io la mattina dopo sono andata comunque a sporgere denuncia, in Vaticano. Mi hanno quasi riso in faccia e non l'hanno accettata neanche qui".
Dopo due giorni, però, la casa in cui Emanuela viveva con le sorelle, il fratello e i genitori era invasa da polizia, carabinieri, servizi segreti. "C'era un'enorme confusione, ognuno faceva le sue indagini. I servizi segreti stavano a casa nostra dalla mattina alla sera – ricorda ancora Natalina – Forse ci siamo fidati troppo di tutti? Con il senno del poi dico di sì, perché noi avevamo molta fiducia nelle istituzioni. Mio padre si fidava tanto delle istituzioni, invece poco prima di morire disse: Non pensavo che mi avessero tradito. Noi abbiamo cercato di fare di tutto poi si sono accavallate talmente tante storie che è diventato tutto confuso".