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Opinioni

Perché nessuno ha voglia di parlare di Mafia Capitale dieci anni dopo

Dieci anni ci separano dalla deflagrazione dell’inchiesta Mondo di Mezzo. Un anniversario passato sotto silenzio, con pochissime eccezioni tra cui lo speciale di Fanpage.it. Nessuno sembra voler parlare oggi dell’intreccio di corruzione e interessi tra politica, impresa e criminalità scoperchiato da quell’inchiesta. La città non ha mai digerito ed elaborato davvero quanto accaduto.
A cura di Valerio Renzi
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Gli anniversari con la cifra tonda sono ormai da tempo occasioni per i media e l'editoria per sfornare una grande quantità di contenuti, non sempre di grande utilità né interesse, ma tant'è. Gli anniversari possono riguardare un fatto politico rilevante (il Sessantotto, la caduta del Muro di Berlino, Tangentopoli), la morte di una persona famosa (meno la nascita) e via discorrendo. L'importante è che ci sia uno zero con un numero davanti.

Oggi sono passati dieci anni dal deflagrare dellinchiesta conosciuta come Mondo di Mezzo, quella che ha portato il 2 dicembre del 2014 a scoperchiare un verminaio di interessi tra imprenditoria, politica e criminalità, con l'esecuzione di 37 arresti. Le due biografie dei principali protagonisti erano complementari ed evocative, da una parte il ‘Cecato' Massimo Carminati ex Nar e Banda della Magliana, e dall'altra Salvatore Buzzi, ex detenuto modello, poi imprenditore di successo a capo di un piccolo impero nel mondo della cooperazione "rossa". Il sistema di corruzione era in grado di sopravvivere "con la destra" e "con la sinistra", ma era nato e aveva prosperato durante l'amministrazione di Gianni Alemanno.

Ho aspettato per scrivere questo pezzo di leggere i giornali di oggi, per constatare che con due sole eccezioni, oltre lo speciale che abbiamo mandato online questa mattina, quasi nessuno ha scelto di ricordare il decennio che ci separa dallo scoppiare dell'inchiesta politico-giudiziaria che più ha influenzato l'immaginario collettivo da Tangentopoli, le cui frasi dette dai protagonisti nelle intercettazioni sono entrare nel vocabolario comune come luoghi comuni, come ci ricorda oggi Roberto Saviano nel suo racconto.

Ma allora perché nessuno oggi ne parla? Perché c'è questa fatica a ricordare?

La prima ragione riguarda la politica. Quell'inchiesta mise sotto accusa fondamentalmente la destra di governo e il Partito Democratico. La politica dei partiti ne uscì fortemente compromessa. Il clima politico generato da quell'inchiesta rafforzò soprattutto la Lega di Matteo Salvini nella sua ascesa, e il Movimento 5 Stelle che quella "vecchia" politica voleva spazzare via. Entrambe le forze politiche che giovarono di quell'inchiesta sono oggi in crisi, e il sistema politico italiano è andato si polarizzandosi, ma anche normalizzandosi nella dialettica centrodestra / centrosinistra.

Credo anche che rispetto a quanto faceva emergere quell'inchiesta, il sistema politico dei partiti abbia avuto una certa capacità di autoriformarsi, soprattutto per quanto riguarda il Partito Democratico. I dem hanno prestato maggiore attenzione alla vita di partito, alla selezione della classe dirigente e al rischio che il partito diventasse solo un insieme di comitati elettorali con le inevitabili degenerazioni che questo porta con sé. Anche le modalità di reperire risorse, venuto meno il finanziamento pubblico come lo abbiamo conosciuto, che rischiava di essere particolarmente opaco tramite il sistema delle fondazioni è stato regolato dopo i primi segnali di malcostume.

La seconda ragione è un'amnesia sulla presenza delle mafie a Roma. La Cassazione non ha riconosciuto l'aggravante dell'articolo 416 bis, che definisce l'associazione mafiosa, infliggendo un colpo mortale alla narrazione messa in piedi dalla Procura di Roma. E non uso il termine "narrazione" a caso. Gli arresti del 2 dicembre furono preceduti da una serie di articoli e inchieste giornalistiche che annunciavano lo tsunami preparando il terreno, e anche dopo il racconto sarà determinante. Gli inquirenti dal primo minuto puntarono tutto su una tesi che giuridicamente non era semplicemente da sostenere: la presenza di una "mafia romana, originaria e originale".

La Cassazione rigettò l'aggravante di associazione mafiosa non perché non ci fossero legami o una filiazione con le organizzazione mafiose "classiche", quanto perché per essere tale un'organizzazione mafiosa deve essere nota. Un sodalizio mafioso può esercitare la sua forza d'intimidazione anche solo in base alla sua fama, non per forza picchiando, sparando o incendiando. Il problema è che per i giudici il sodalizio di Mafia Capitale divenne noto solo al momento dell'inchiesta, non avrebbe perciò potuto intimidire sulla base della conoscenza del vincolo associativo. Inoltre vennero infine riconosciute due distinte organizzazioni criminali, la prima afferente a Buzzi e Carminati dedita in prima istanza alla corruzione, e poi una con a capo Carminati che si occupava di attività come il recupero crediti.

Il punto è che questa "sconfitta" sul piano giuridico si è presto rivelata una vittoria. Negli ultimi dieci anni sono state riconosciute diverse associazioni mafiose "originarie e originali", penso prima di tutto al clan Casamonica. Ma quella sentenza, che sembrò ridimensionare la gravità dei fatti venuti alla luce, ha purtroppo prodotto una sorta di amnesia sulla presenze delle mafie a Roma che invece fanno affari miliardari, si sparano e uccidono, sequestrano e torturano, controllano interi quartieri tramite lo spaccio. Nonostante i processi facciano emergere con grande chiarezza tutto ciò, la politica e la società civile faticano troppo a mettere al centro del dibattito il radicamento e il potere delle mafie, da Tor Bella Monaca ai ristoranti del centro storico.

La terza ragione è che Roma vuole girare pagina e non ha voglia di ricordare. Il Giubileo è alle porte, i cantieri devono chiudere, la Porta Santa si sta per aprire, non è ora di parlare di quell'inchiesta che finì per danneggiare l'immagine della città. Questo è il sentimento che sembra oggi molto diffuso. Ma la mancanza di riflessione su quell'inchiesta rischia di esporre tutti agli errori di ieri. Servirebbe un'elaborazione profonda anche sulle storture che portò nell'azione della pubblica amministrazione (a cominciare dai bandi al massimo ribasso che favoriscono le grandi corporate dei servizi), a una diffidenza nei confronti del privato sociale quanto dello stesso servizio pubblico. Sarebbe molto utile invece che la classe dirigente che governa la città (o che aspira a farlo), le parti sociali e la società civile discutessero di quanto accaduto dieci anni fa, e delle condizioni che produssero quell'intreccio tra politica, malavita e impresa.

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Ho collaborato prima prima di arrivare a Fanpage.it su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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