Il fenomeno dei baby femminicidi imperversa periodicamente nelle pagine più brutte della cronaca nera. Michelle Maria Causo è l’ultima in ordine di tempo a pagare le conseguenze di queste “adolescenze estreme”. Dopo essere stata aggredita mortalmente lo scorso 28 giugno con venti coltellate e dopo che il suo viso è stato sfigurato, il baby omicida, suo coetaneo, l’ha messa in un sacco nero e poi caricata su un carrello che ha abbandonato in via Borgia, a Primavalle. Ma non era in quel punto che il killer voleva abbandonare il cadavere. Avrebbe infatti voluto raggiungere il Parco del Pineto e gettarlo in un dirupo. Con la speranza di farla franca. Speranza di farla franca confermata dalla grossolana attività di ripulitura delle tracce di sangue presenti sulla scena del crimine. Secondo la versione fornita dal diciassettenne in sede di convalida del fermo, avrebbe ucciso Michelle perché non voleva restituirle alcune decine di euro per l’hashish. Il giovane è accusato di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere. Oggi, intanto, sono previsti i funerali.
Chi è davvero il killer di Primavalle
Il diciassettenne originario dello Sri Lanka ha dimostrato innanzitutto di avere un’identità precaria. Anche di tipo emozionale. Sicuramente un narcisista maligno. Per definizione, quindi, un analfabeta emotivo, incapace non solo di interpretare e gestire la propria rabbia e la frustrazione. Ma soprattutto di non saper decodificare le emozioni altrui e quindi non in grado né di provare compassione né di identificarsi con i sentimenti degli altri.
“Provocava i ragazzi il quartiere e in più di un'occasione ha fatto girare tra le chat foto intime di alcune ragazze. Fino a 15 anni era tranquillo poi sono cambiati molti lati del suo carattere e anche per questo ne ho prese le distanze. Era arrabbiato e cercavo un riscatto. Voleva una vita diversa e questo limitava la sua collera”. Da queste frasi, utilizzate da un’amica della vittima per descrivere il femminicida, si evincono dati molto importanti. Non si comincia ad essere assassini il giorno in cui si commette il delitto, ci sono sempre dei pregressi violenti. Perché, ai giorni nostri, è una condizione inaccettabile quella di sentirsi falliti in una società social di vincenti. Ragione per cui si registra un così repentino abbassamento dell'età anagrafica dei soggetti coinvolti in questo tipo di delitti.
Il movente dell’omicidio
Secondo la versione fornita dall’assassino, il delitto sarebbe maturato nel contesto di un debito di 20-30 euro. Ma gli inquirenti non sembrano esserne troppo convinti, per questo contemplano anche la possibilità che il femminicidio possa essere stato causato dal respingimento di un qualche tipo di approccio avanzato dal killer. Non è un caso, infatti, che il baby femminicidio costituisca l’ultima frontiera della violenza contro le donne. Abbiamo a che fare con adolescenti che uccidono perché non in grado di accettare la fine di una relazione, un rifiuto sessuale o la possibilità della perdita di controllo. Come se queste decisioni non lasciassero altro spazio se non all’aggressione ed alla crudeltà.
La cronaca ci dimostra costantemente come la violenza giovanile non sia più fatta solo di bravate dimostrative, ma sfoci sempre più spesso nel compimento di crimini efferati, come i femminicidi. Ciò per una totale assenza di affermazione della personalità dei killer nella società. Oggi le relazioni con i genitori sono labili, ambivalenti e ricche di tensioni. Qualunque sia la motivazione che ha spinto il baby omicida, la scelta di uccidere è maturata nel contesto di un torto percepito come ingiusto che doveva essere vendicato. In soldoni, quella vendetta è apparsa al diciassettenne un atto dovuto, quasi normale per una personalità così profondamente destabilizzata come la sua. Un ragazzo, come tutti gli adolescenti che uccidono, che piuttosto che confrontarsi con le proprie responsabilità o con il rifiuto, ha aggredito ed ucciso. Abbiamo a che fare con soggetti che crescono nell’indifferenza emotiva e che conoscono la violenza come una modalità per esprimersi e compensare la frustrazione.
L’assassino ha disumanizzato Michelle
“Non è morta subito, tremava tutta. Aveva le convulsioni. Sapevo che mi avrebbero arrestato, ormai era tardi. Ho aspettato che morisse per disfarmi del corpo”.
Il killer ha riversato su Michelle la parte cattiva di sé fino a farla diventare il bersaglio dei propri impulsi incontrollabili. Ma non solo. Anche dopo la confessione di averla lasciata agonizzante sul pavimento, è apparso freddo e distaccato, incapace di provare rimorso e senso di colpa per le conseguenze di quell’azione omicidiaria. Una vera e propria deumanizzazione della vittima. Proprio per questo il suo assassino si è sentito autorizzato ad infliggerle così tanta violenza.
Quasi si è vantato di ciò che ha fatto, di quello che è stato capace. Un’anima vuota come è emerso dall’interrogatorio di convalida del fermo. Dove ha raccontato di aver lasciato agonizzante Michelle e di non essere intervenuto per salvarla perché sarebbe stato arrestato. Si è quindi preoccupato della propria autoconservazione. Mentre non si è minimamente interessato della vita della ragazza neppure dopo il suo femminicidio.
Le stesse modalità con le quali ha cercato di occultare il cadavere dimostrano che pensava di non essere scoperto facilmente. Si è posto fin da subito in una condizione di superiorità, anche dei carabinieri. Ha ripetuto continuamente di “aver fatto una ca**ata”. Per cercare di normalizzare a sé stesso quanto commesso. Un ragazzo con una percezione della realtà completamente distorta. Che ha ribaltato le gerarchie valoriali per ridimensionare la gravità dell’omicidio. Ciò perché nelle mente di tutti gli adolescenti che uccidono, i coetanei esistono solo in funzione dei loro bisogni.
È stato un omicidio premeditato?
L’ha massacrata a colpi di coltello con l’efferatezza di un killer navigato, ha infierito sul suo corpo in maniera quasi meccanica e poi lo ha gettato in un sacco nero. Associando Michelle alla spazzatura, ad una discarica. Un modo, oltre che per occultare il cadavere, anche per esercitare un ultimo senso di controllo e potere. Per soddisfare il suo bisogno di dominanza e alimentare un senso di superiorità o di gratificazione psicologica. Gettata via come uno qualsiasi degli oggetti di seconda mano.
Le coltellate inferte dal killer di Primavalle riflettono il carattere feroce del femminicidio, causato da impulsi irrefrenabili. La modalità omicidiaria fa ritenere verosimile che la decisione di uccidere sia stata improvvisa e che il giovane abbia fatto tutto da solo. Sia per le modalità completamente disorganizzate con cui è stata gestita la fase successiva al delitto, con riferimento alla maldestra ripulitura della scena del crimine e alle modalità di occultamento del cadavere, sia per l’arma utilizzata per commettere l’omicidio. Un’arma che l’assassino aveva a sua disposizione perché era il coltello da cucina con cui abitualmente tagliava i panetti di hashish.