Nel procedimento giudiziario per l'omicidio di Willy Monteiro Duarte, Marco e Gabriele Bianchi sono stati condannati in appello a ventiquattro anni di carcere. I giudici hanno deciso per una pena inferiore rispetto a quella originariamente prevista in primo grado: l’ergastolo. Ciò perché i giudici della Corte d'Appello di Roma hanno ritenuto che i due fratelli non abbiano partecipato alla lite iniziale, che era stata invece innescata dagli altri imputati, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia, non sarebbero insomma i responsabili dell'aggressione.
Per questo, i magistrati di secondo grado hanno concesso loro le circostanze attenuanti generiche. La Corte ha anche ribadito che i colpi mortali sono stati sferrati da Gabriele e Marco Bianchi, mentre Belleggia ha colpito Willy con un calcio alla testa nella fase finale dell'aggressione. Che cosa significa dunque questa conversione di pena? E perché è stata applicata in secondo grado? Andiamo con ordine.
Perché i giudici di appello hanno applicato una riduzione di pena ai fratelli Bianchi?
Partiamo dal presupposto che i giudici della Corte d'Appello non sono in alcun modo vincolati dalla decisione di primo grado, e per definizione, possono pronunciarsi solamente sui motivi appellati e non sulle parti della sentenza che non sono state censurate dall’appellante. Ciò detto, nel caso specifico, ad essere determinante nella pena stabilita a 24 anni di reclusione e non all'ergastolo è stato, come già ricordato, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
Nonostante questo, l’uscita delle motivazioni della sentenza non ha mancato di far discutere. Comunque, si ribadisce, la partita è tutta giocata in punto di diritto. Secondo l'interpretazione prevalente della Cassazione, le attenuanti generiche devono essere concesse quando, dopo una valutazione globale, la pena prevista per un determinato reato dalla legge risulta eccessivamente dura per l’imputato.
E proprio in forza di questa valutazione i fratelli Bianchi in appello hanno beneficiato di una riduzione di pena rispetto a quella comminata in primo grado. Nel dettaglio, i giudici d’appello hanno ritenuto di dover applicare le attenuanti, previste dall’art. 62 bis c.p., il cui contenuto specifico non è tipizzato espressamente nel codice. Per questo, il giudice ha la facoltà di applicare una circostanza diminuente a seconda delle peculiarità del caso concreto. Con l’obbligo chiaramente di motivarne la necessità. Questo è ciò che ha fatto la Corte d’Assise d’appello di Roma nel quantificare la pena a carico dei fratelli Bianchi.
Ciò non significa che sia venuto meno il reato di omicidio volontario a loro carico o ne sia stato valutato inferiormente il suo intrinseco disvalore. Al contrario, in virtù della valutazione dei magistrati, la pena della reclusione perpetua è stata ritenuta troppo severa.
Nel farlo, quindi, i giudici si sono richiamati alla previsione di cui all’articolo 62 bis del codice penale già citato, individuando l’attenuante nel fatto che i fratelli Bianchi sono risultati, secondo la loro discrezionalità, totalmente estranei al contrasto iniziale che ha poi provocato la violenta aggressione. Hanno inoltre sostenuto che la loro condotta si è esaurita in un breve lasso di tempo e che il pestaggio è anche ascrivibile agli altri imputati. Dunque, posto che la morale e la pancia non entra nei tribunali, la concessione delle generiche – che ha comportato la conversione della pena dall’ergastolo alla reclusione – rientra a pieno nei poteri dell’organo giudicante. Così come è un pieno diritto dei fratelli Bianchi quello di beneficiarne.