Perché Gualtieri e Rocca sbagliano sui cinema abbandonati di Roma

Continua il dibattito sul futuro dei cinema abbandonati di Roma e del Lazio. In Regione c'è una proposta di legge sulla semplificazione urbanistica che riguarda anche le sale chiuse, mentre a livello comunale la Soprintendenza statale ha recentemente criticato le nuove norme di attuazione del Piano Regolatore di Roma, che in parte toccano anche la questione dei cinema. Su questo, però, l'assessore all'Urbanistica, Maurizio Veloccia, ha spiegato a La Repubblica: "La norma che abbiamo introdotto innalza dal 50 al 70% l’obbligo di mantenere attività culturali all’interno di progetti di riconversione dei cinema tanto che siamo stati accusati di essere ‘talebani’. La Soprintendenza ha ragione nel vedere un rischio nella trasformazione dei cinema anche storici in supermercati ma deve rivolgersi alla Regione Lazio".
Sulla questione abbiamo chiesto un parere a Silvano Curcio, architetto e professore di Management dei patrimoni immobiliari e urbani alla Sapienza, autore del libro ‘Fantasmi urbani – La memoria dei cinema di Roma (Palombi editore)'.
"Inizierei dai dati, che sono impressionanti: a Roma esistevano fino a 15 anni fa quasi 150 sale; adesso ne abbiamo attive 44. È significativo: più di 100 sale chiuse in 15 anni. Questo fenomeno di chiusura e trasformazione, tuttavia, non riguarda solo Roma, ma nella Capitale assume caratteri più estremi, più inquietanti, ma è parte di un processo di desertificazione culturale a livello nazionale. Se pensiamo soltanto alle sale a livello nazionale: delle 2.200 che esistevano 15 anni fa, adesso siamo a malapena a 1.000".
Quindi? Cosa sta succedendo a Roma?
A Roma i cinema sono stati oggetto di un processo impressionante e rapidissimo di chiusura e trasformazione selvaggia. Il caso più clamoroso di chiusura ultra decennale è quello del cinema America. Ma di trasformazioni selvagge ne potrei citare a decine e non pensiamo solo alle sale bingo, che è il caso più evidente, ma anche a centri commerciali di piccola, media e grande dimensione, garage, residence. Addirittura, nel mio libro ‘Fantasmi Urbani – La memoria del cinema di Roma', ho individuato in periferia alcune sale trasformate in luoghi di culto.
Fatta questa considerazione, che tipo di approccio bisognerebbe avere quando si parla di sale cinematografiche?
Sono convinto che, quando si parla di sale cinematografiche, bisogna avere una visione sociale e culturale, non meramente immobiliare, come invece è sotteso alla proposta di legge della Regione Lazio, la 171. Le sale cinematografiche, soprattutto quelle storiche, concentrate nel centro di Roma, hanno caratteristiche architettoniche, artistiche e storiche importanti. Si va dal Seicento all’epoca moderna, dal Capranica all’Airone.
Poi ci sono le sale nelle estreme periferie, che hanno caratteristiche diverse. Alcune hanno valore storico e architettonico, ma molte hanno un valore culturale e sociale che va oltre: sono identitarie. Questo valore identitario, sociale e culturale rientra ormai nel concetto di bene culturale, così come lo definisce la nostra Costituzione, all’articolo 8. In questa gamma di valenze si concentra l’importanza delle sale cinematografiche: in un caso come espressione di arte, architettura, storia; nell’altro come valore identitario. Sono sale in cui è passata la storia della nostra città, dei quartieri, dei rioni, della gente. Una visione al tempo stesso individuale e collettiva.
Ma l’idea del centrodestra in Regione Lazio è quella di dire: “Queste sale sono abbandonate da anni, semplifichiamo le cose per riaprirle, anche sotto altra veste”. Non è meglio riaprirle che tenerle chiuse?
Parto da una considerazione di fondo: non è quella non la finalità della legge. Infatti, la legge è nota negli ambienti regionali come “legge Metropolitan”. C’è il vecchio progetto per trasformare il cinema Metropolitan – una delle sale storiche di Roma, in via del Corso – in un centro commerciale. Il pretesto è il degrado urbano, come se la causa fosse esclusivamente la situazione delle sale. Bisogna liberare il campo da questa visione meramente immobiliare. La proposta regionale è una sorta di condono generalizzato, che non riguarda solo le sale cinematografiche, ma riguarda tutta l’urbanistica. È una legge che ha come parole chiave: sburocratizzare, svincolare. Interessa chiunque: da chi possiede una seconda casa e vuole trasformarla in B&B o abitazione nei sottotetti, fino ai grandi gruppi immobiliari.
Questi gruppi hanno interesse a mettere le mani sulle sale cinematografiche, dato il valore immobiliare di questi edifici. Non è un caso che, appena si è diffusa la notizia della proposta di legge si sono fatti avanti fondi immobiliari olandesi interessati all’acquisto di otto sale abbandonate a Roma. Questa premessa serve a chiarire che non si tratta solo di valorizzare le sale, ma che c’è un interesse economico molto forte dietro.
Però non ha risposto… queste sale abbandonate esistono…
È chiaro – e ne parlo in diversi capitoli del mio libro – che le sale sono in crisi da anni. Si tratta di una crisi del comparto dell’esercizio cinematografico. Il problema è sia macro che micro. È macro perché la gestione delle sale è l’anello più debole della cosiddetta industria del cinema, che io ritengo non sia una vera industria. I costi della gestione sono altissimi. E poi bisogna prendere atto che, specie dopo i due anni di Covid – ma era un processo già in corso – è cambiata, anzi, rivoluzionata, la modalità di produzione dei film.
Con l’avvento delle piattaforme, la visione si è spostata dalla sala allo streaming. Le piattaforme condizionano il mercato perché sono progetti multinazionali pesanti: Netflix, Amazon, Paramount, Disney+… sono diventati essi stessi produttori. La finalità non è più il passaggio in sala, ma la distribuzione diretta sulle piattaforme. Da questo punto di vista, gli esercenti cinematografici sono assolutamente più deboli. Non possono competere economicamente.
E quindi? Come salvaguardare questi cinema abbandonati? Cosa dovrebbero diventare?
Bisogna prendere atto che sono cambiate le modalità di fruizione dei film. Ne parlo nel mio libro: ci sono due fronti su cui intervenire. Uno riguarda il contenuto, cioè la programmazione cinematografica. L’altro riguarda i contenitori, cioè le sale. Intervenire sulla programmazione significa ripensare la gestione dei film in sala. L’offerta tradizionale – biglietto, popcorn, Coca-Cola, film – è obsoleta. Non può competere con la visione domestica, dove puoi vedere quello che vuoi, quando vuoi, dove vuoi.
Bisogna dare più valore al biglietto. Serve una programmazione più attrattiva. Un esempio positivo è la Francia. Esiste da anni una legislazione, che sostiene non solo i film francesi, ma anche le sale. I finanziamenti pubblici passano dal Ministero della Cultura ai dipartimenti locali, ma non vengono distribuiti a pioggia, come in Italia. Sono legati a uno scambio: ti finanzio se mi garantisci certi servizi: matinée per le scuole, proiezioni per anziani, dibattiti con registi, rassegne, incontri con critici… insomma, la sala diventa un centro culturale. Il cinema non è più solo visione, ma partecipazione. Questo tipo di approccio può restituire senso e valore alla sala.
Occorrerebbe quindi affiancare alla programmazione ‘commerciale' un tipo di programmazione anche ‘sociale'. Ho lanciato nel mio libro il concetto di hub polifunzionale che ha molti punti in comune con il termine con il concetto di ‘terzi luoghi'. In questi luoghi la sala cinematografica non è l'unico centro, ma deve essere eventualmente rimodulata come dimensioni ed essere affiancata ad altro tipo di attività di carattere culturale, sociale e anche commerciale. Creare aggregazione, spazi a disposizione di ragazzi per attività teatrali, musicali, artistiche, sale letture come quella del cinema Troisi. Ma anche librerie specializzate, spazi di ristorazione, spazi per l'artigianato…
Un'integrazione di attività sociali, culturali e anche commerciali a supporto dell'attività cinematografica che però diano più appeal alla visione del film in sala, immaginando quindi il cinema che si trasforma in un hub polifunzionale o terzo luogo, che sia visibile, fruibile da diverse categorie di soggetti interessati non solo alla visione del film. A mio avviso questa visione polifunzionale può consentire anche la trasformazione sostenibile di queste sale senza perdere l'attività cinematografica.
Ma gli imprenditori hanno convenienza a investire su progetti del genere?
Se non si immagina la sala in questo modo, se non si ripensa come spazio, certamente no. È chiaro che imprenditori che vogliono operare in questo settore devono entrare in un'ottica di innovazione lungo le direttrici che presentavo prima. Ecco, purtroppo il mondo degli esercenti cinematografici non ha dato spesso prove di grande progettualità, anche se a Roma esistono delle sale che ci hanno provato e ci sono riuscite: cito ancora il Troisi, ma anche il Farnese, il Nuovo Olimpia, il Barberini e il Quattro Fontane. Tutti hanno tentato questa strada che si basa sulla integrazione di altre attività con quella cinematografica.
La politica da questo punto di vista dovrebbe essere un supporto. Siamo lontanissimi dal sistema messo in atto in Francia, dove dal livello centrale fino al livello locale, esiste proprio un modello di politica finalizzato al sostegno dei film francesi e delle sale cinematografiche francesi.
Abbiamo parlato della Regione Lazio. Ma il Campidoglio? Il Pd è contrario alla proposta di legge presentata in Regione…
Il Campidoglio sta facendo poco e malissimo. Regione e Comune sono due interlocutori che solo a parole si contrappongono, ma poi di fatto fanno politiche analoghe. Purtroppo il Comune da questo punto di vista non solo se si è fatto notare per il silenzio assoluto che ha mantenuto, ma addirittura anche con alcune iniziative, come quelle presenti nella proposta delle nuove norme tecniche d'attuazione al Piano Regolatore di Roma, con norme che favoriscono chi vuole speculare sulle sale cinematografiche e non su chi vuole tentare in qualche maniera di sostenerle, sia pur innovandole. Da questo punto di vista, mi faccia dire, è sacrosanta la reazione della Soprintendenza statale, che ha bocciato l'intero progetto, facendo anche riferimento preciso alla norma che riguarda le sale cinematografiche. In questo senso la posizione del Comune è una posizione assolutamente condannabile