Parlano i giovani precari dei beni culturali: “Abbiamo studiato per paghe da fame e zero diritti”
Lavoro nero, diritti negati, paghe da fame, sfruttamento, la consapevolezza di dover cambiare lavoro per provare a costruire una vita autonoma e dignitosa. I lavori precari dei beni culturali hanno denunciato a Fanpage.it una situazione davvero difficile del settore, che si è aggravata ancora di più con la pandemia da Covid-19. Nel 2019, prima cioè del coronavirus, un'indagine aveva già fotografato condizioni lavorative molto gravi: un grande numero di partite Iva coatte, una grande diffusione del volontariato, ma anche del lavoro in nero, con paghe orarie spesso molto basse, che variavano dagli 8 ai 9 euro l'ora. Nel 2020 e nel 2021 altre indagini hanno dimostrato come la situazione si sia aggravata con la pandemia. Nei giorni scorsi, intervistato dalla Rai e poi da Fanpage.it, aveva sollevato il problema Niccolò Daviddi, giovane archeologo che, dopo aver parlato in tv, è stato licenziato per aver rivelato di guadagnare soltanto 6 euro netti l'ora.
Racconta Ludovica Piazzi, dell'associazione ‘Mi Riconosci', che lotta contro il precariato e lo sfruttamento in questo ambito lavorativo: "Si tratta di un settore in cui praticamente non c'è stato ricambio generazionale, perché da diversi anni mancano i concorsi. Quindi non ci sono state di fatto grandi assunzioni si è proceduto con l'esternalizzazione dei servizi e in generale c'è stato lo svuotamento di tante istituzioni. che hanno sempre meno personale. E quindi fondamentalmente non ci sono state opportunità per chi fa parte della mia generazione o ce ne sono state poche".
"Non appena ho finito l'esperienza della laurea triennale, ho iniziato a cercare lavoro nell'ambito dei beni culturali e ho trovato un posto come operatrice museale presso i Musei civici di Roma. Il contratto era fatto da un subappalto, quindi non era di gestione diretta dei musei del Comune di Roma. La paga era 4,73 euro netti orari", spiega Oriana Federici, operatrice museale. Così invece Cecilia De Laurentis, che adesso fa la tatuatrice: "Per anni ho lavorato all'interno di una fondazione privata come assistente di biblioteca e di archivio. Ho continuato la mia esperienza all'estero per un periodo, lavorando in un museo di storia in Germania. Ritornando, sono ripiombata nella realtà romana fatta fondamentalmente di privatizzazioni, lavoro nero, diritti negati e paghe da fame, Questo mi ha spinto, nell'arco di un paio di anni, a decidere di smettere di tentare totalmente di lavorare nel settore e di dedicarmi ad altro".
Sono tantissimi gli operatori precari dei beni culturali che stanno cercando di cambiare lavoro: "Molte persone che hanno fatto i miei stessi studi, quindi laureati in storia dell'Arte, hanno deciso poi di cambiare settore. Proprio perché lavorare in questo ambito non ti consente di costruirti una vita autonoma e dignitosa", racconta ancora Oriana.