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Proteste in Iran dopo la morte di Mahsa Amini

Parla Jina, studentessa iraniana a Roma: “Contro il regime protestiamo in tutto il mondo”

Torture, omicidi di massa, carcere per gay e transessuali: Jina, studentessa iraniana, ci racconta le rivolte nel suo paese e perché è così importante che siano supportate a livello internazionale.
A cura di Natascia Grbic
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"Ogni minaccia che il governo fa non ha più importanza. La gente che scende in piazza preferisce morire piuttosto che non cambiare. Non avrei mai immaginato una cosa del genere". Jina è una studentessa iraniana. Vive da diverso tempo in Italia, e non torna nel suo paese da un anno. In Iran sono rimaste la madre e tre sorelle. L'abbiamo incontrata nei giorni scorsi a Roma, dove si è trasferita da qualche settimana. La sua vera identità è stata nascosta per timore delle ripercussioni che un'intervista a viso scoperto avrebbero potuto avere sulla sua famiglia in Iran. Quello che ci ha raccontato, è un desiderio di rivolta che dalle proteste per la morte di Mahsa Amini si è è trasformato nella volontà di sovvertire il regime.

"I giovani e gli studenti anche sotto i vent'anni stanno protestando non solo per il velo, ma per i diritti – spiega Jina – Stavolta in piazza sono scesi tutti, anche i professori, che nelle manifestazioni degli anni passati avevano avuto un ruolo marginale. Adesso scioperano, non fanno lezione. C'è molta più unità".

Vivere in Iran non è facile, soprattutto se sei una donna, appartenente alla comunità LGBTQI+ o un oppositore politico. "È difficile per un uomo, figuriamoci per una donna, una persona gay, queer o transessuale. Le donne non trovano lavoro facilmente, e se lo hanno il loro stipendio è più basso rispetto a un uomo. Sono ostacolate se vogliono intraprendere un percorso universitario. Non solo per la legge, ma perché è il modello familiare a essere organizzato in questo modo. Non hanno diritto al divorzio: se una su dieci riesce a lasciare il marito, deve poi lottare anni per potere vedere i figli o tenerli con sé. Non possono scegliere come vestirsi. Sembra una cosa piccola, ma significa che il tuo corpo per loro non esiste".

Nel caso in cui si sia una persona queer, omosessuale o transessuale, le cose vanno ancora peggio. "Ce ne sono molti – continua Jina – ma praticamente non possono esistere. Non possono andare al lavoro, se non sono imprigionati lo sono dentro casa. Non è più questione solo di donne, vogliamo una libertà che vada avanti".

Divieto di lavorare, confessioni forzate, torture e minacce sono ciò che si trova a dover affrontare un oppositore politico. "Il regime in questi casi colpisce soprattutto la tua famiglia – dice Jina – Le conseguenze delle tue azioni spesso non ricadono su di te, ma su di loro". Un gioco di potere che punta a schiacciare chiunque voglia esprimere il suo dissenso. "Per loro è come uno spettacolo. E cosa succede quando vai in scena? Cerchi di fare del tuo meglio e mostrarti forte, anche se sei debole. E il governo iraniano in questo è molto bravo. Ma la gente adesso glielo sta rovinando quello spettacolo".

Nelle ultime settimane sono moltissime le persone che in tutto il mondo sono scese in piazza in solidarietà con l'Iran. All'ambasciata iraniana a Roma diverse donne si sono tagliate i capelli e hanno bruciato il velo, un'azione dimostrativa ripresa dalle manifestazioni cominciate dopo la morte di Mahsa Amini. "La solidarietà internazionale è importante, dà forza ed energia a chi protesta in Iran".

Parlare con la propria famiglia non è facile: Jina spiega come il governo abbia tagliato internet, attivo solo per un'ora durante la notte. Chi vuole comunicare con l'Iran deve farlo quando lì sono le due di notte. Stessa cosa gli attivisti che vogliono postare i video sui social o sui canali Telegram, cosa impossibile se non sono le prime ore del mattino.

C'è però speranza affinché questa rivolta cambi le cose. "Vedo molto coordinamento tra vari gruppi di donne in diverse parti del mondo – conclude Jina – Soprattutto nel Medio Oriente il movimento delle donne iraniane è stato l'inizio per la liberazione delle afghane, delle curde. Nella maggior parte dei paesi in cui le donne erano oppresse si continuerà a lottare. Il movimento non ha una sola radice, cresce come una pianta spontanea e copre il mondo intero. Se non vince in Iran lo farà da un'altra parte. Quello che doveva fare, questa rivolta lo ha fatto".

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