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Aggiornamenti sul caso Emanuela Orlandi

Orlandi, l’ex capo della gendarmeria Giani in commissione: “Vaticano cercava informazioni su Emanuela”

“Il Vaticano non ha aperto delle indagini, ma voleva avere informazioni sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, una ricostruzione storica”, è quando dichiarato dall’ex capo della gendarmeria Domenico Giani nel colloquio in commissione bicamerale d’inchiesta per il caso di scomparsa della quindicenne.
A cura di Beatrice Tominic
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"In Vaticano c'è un segreto istruttorio e investigativo, bisogna rivolgersi all'attività giudiziaria vaticana", ha fatto sapere nel corso del suo intervento in commissione bicamerale d'inchiesta l'ex capo della gendarmeria vaticana Domenico Giani, convocato dai deputati e senatori a rispondere alle domande sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, oltre 40 anni fa.

"Non sono state svolte indagini, sono stati fatti atti di carattere informativo: è stata richiesta una ricostruzione storica sulla scomparsa di Emanuela Orlandi", ha fatto sapere, riservandosi però di non rispondere ad alcuni interrogativi posti dai commissari.

La "ricostruzione storica" chiesta dal Vaticano

Come ha sottolineato Giani nel corso del suo intervento, non esisterebbe alcuna indagine in Vaticano su Emanuela Orlandi. Ma quando gli è stato chiesto, allora, per quale motivo fosse stato convocato monsignor Valentino Miserachs Grau, il maestro di coro alla scuola di musica "Tommaso Ludovico da Victoria", l'ultima lezione a cui prese parte Emnauela Orlandi prima di sparire in quel terribile 22 giugno 1983, ha spiegato cosa è successo in quegli anni presso la Santa Sede.

"Nel 2011-2012 è stata fatta una raccolta di informazioni, confluita nella parte di cui si sta occupando attualmente l'autorità giudiziaria vaticana – ha dichiarato – Io sono stato chiamato da monsignor Georg per fare una ricostruzione storica dei fatti che riguardavano la vicenda di Emanuela e, nell'ambito di questa ricostruzione, alcune persone (fra cui proprio Miserachs, ndr) sono state sentite per mettere insieme dei tasselli. Ma non era un'attività giudiziaria, era un'attività informativa per ricostruire una serie di elementi". Elementi di cui, ad oggi, si starebbe ancora servendo il Vaticano.

Giani, Capaldo e la tomba di De Pedis

Quella della ricostruzione storica è soltanto una delle richieste avanzate da padre Georg Gaenswein: "Lui e la segreteria di Stato mi hanno chiesto di prendere contatti con il dottor Capaldo – il quale, all'epoca, era titolare del fascicolo sulla scomparsa di Emanuela Orlandi – Dovevamo parlare della questione della tomba di Enrico De Pedis", che, come si era scoperto, era stato sepolto in Sant'Apollinare. Un nome, quello del leader della Banda della Magliana, che spesso ricorre nella vicenda di Emanuela Orlandi: dalla richiesta del passaporto falso per il trasferimento a Londra (che avvalorerebbe la pista inglese, ndr) alla sua presenza al momento del rapimento davanti al Senato.

"Non so per quale ragione la tomba di uno fra i più grandi criminali della capitale si trovasse lì – ha spiegato Giani – Non me ne sono mai occupato, non faceva parte dei miei compiti: se non fosse emerso dai giornali, forse sarebbe ancora lì". Poi ha commentato i fatti esprimendo la propria opinione personale: "Credo sia un fatto grave, ma detto questo non so perché c'era – e poi ha ricordato il cambio di rotta da parte della Chiesa – Nel momento in cui i superiori della Segreteria di Stato si sono resi conto di questa cosa, è stato detto Questa tomba qui non ha titolo di starci ed è stata portata via".

La "trattativa" fra Santa Sede e Procura di Roma

Così è stato stabilito un primo incontro fra Giani e Capaldo, per chiarire la questione della estumulazione della tomba di De Pedis da Sant'Apollinare: "Questo era il mandato che avevamo ricevuto, non c'erano altre cose", ha precisato.

È a quel punto che la commissione ha chiesto se, sulla questione della tomba, con la Procura di Roma ci sia stata una vera e propria trattativa: "Non può essere una trattativa nella misura in cui quello che ho fatto con Capaldo, l'ho fatto in tantissime altre occasioni in cui un organo di polizia e un organo di informazione, come è la Direzione dei Servizi di Sicurezza del Vaticano, mantiene relazioni informali, ancorché ufficiali, con altri organi dello Stato", ha risposto Giani.

Gli incontri fra Procura di Roma e Santa Sede

Secondo quanto ricordato da Giani, ci furono almeno due incontri, di cui uno alla Procura di Roma. Nel corso del secondo incontro, invece, parlarono delle modalità di traslazione della salma di De Pedis: "Fino a quel momento c'era stato un rapporto cordiale e di collaborazione, poi si notò che era cambiato qualcosa. Tanto che l'8 maggio 2012 fu eseguito un sopralluogo da parte dei magistrati presso la Basilica senza dare alcuna comunicazione: potevano farlo sapere in Vaticano, come forma di cortesia". Un altro incontro ancora avvenne anche con Giuseppe Pignatone, all'epoca procuratore.

È proprio lui che per primo ha parlato della cosiddetta "trattativa" nella quale Capaldo rappresentava la Procura di Roma e Giani stesso lo Stato Vaticano. I colloqui fra i due si svolgevano per affrontare "questioni non chiare di extraterritorialità", ha spiegato in commissione, sottolineando la "massima volontà di collaborare" da parte del vaticano per spostare la tomba di De Pedis dalla basilica di Sant'Apollinare.

Giani: "Offeso dalla Procura di Roma"

A proposito di quanto avvenuto con la Procura di Roma, Giani si è detto umanamente dispiaciuto: "Avevo offerto una collaborazione leale, ma sono venuto a sapere della estumulazione della tomba da padre Federico Lombardi, che lo seppe dalla stampa, noi eravamo ad Arezzo. Così ho chiamato Pignatone: per me si trattava di un comportamento scorretto in ambito di cortesia istituzionale – ha ricordato – Non è stato detto nulla neanche di un primo sopralluogo: una comunicazione poteva essere una forma di cortesia".

Un altro dettaglio lo ha colpito in negativo: si tratta di un termine utilizzato da Capaldo nei suoi confronti. "Quando ha usato il sostantivo emissario sono rimasto molto basito perché non sono un emissario, ancorché non sia una parola offensiva di per sé, ma ero un capo della polizia, un servitore dello Stato, non l'ho trovata una bella cosa, mi ha dato fastidio, poi tutto il resto è comprensibile", ha fatto sapere.

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