Omicidio Willy, al processo parla Marco Bianchi: “Non gli ho dato nessun calcio al petto”
È iniziata questa mattina una nuova udienza del processo per l'omicidio di Willy Monteiro Duarte, il ragazzo di 21 anni ucciso a calci e pugni la notte tra il 5 e il 6 settembre del 2020 a Colleferro. Nell'aula del Tribunale di Frosinone questa mattina sono presenti tutti e quattro gli imputati: i fratelli Marco e Gabriele Bianchi siedono vicini e si sono abbracciati quando si sono visti, con loro anche Mario Pincarelli. Al processo anche Francesco Belleggia che si trova non in carcere ma agli arresti domiciliari.
Il primo a prendere la parola è stato Marco Bianchi. "Ero un semplice ragazzo, lavoravo al bar di mio fratello, ho sempre praticato il mio sport, la disciplina dell'Mma, da quando avevo 9 anni. – sono le parole del giovane riportate dall'Adnkronos e rivolte al pm Giovanni Tagliatela titolare dell'accusa – Una passione di famiglia, visto che il maestro era mio zio, e che volevo fare come lavoro. Una semplice vita la mia, tra casa, amici e palestra". "Se avessi colpito Willy con un calcio al petto avrei ammesso le mie responsabilità", ha dichiarato, allontanando da sé la circostanza testimoniata di aver sferrato il colpo che sarebbe stato letale al giovane. Il ragazzo ha affermato di aver sempre detto la verità ma di non essere stato creduto, al contrario di essere stato "dipinto come un mostro". Alla domanda sul perché si è allontanato dal luogo della rissa ha risposto che non lo avrebbe mai fatto se si fosse "reso conto che le condizioni di quel ragazzo erano così gravi".
Marco Bianchi, secondo le cronache giudiziarie e le numerose testimonianze dopo l'omicidio, sarebbe invece con il fratello dedito allo spaccio di stupefacenti ed estremamente violento, tanto da essere temuto nei paesi della zona. Il ritratto che il ragazzo dà di se in aula è molto diverso: "Prima di iniziare a lavorare al ristorante mi arrangiavo ma in nero, ho sempre lavorato. Lo sport che praticavo è uno sport come tutti gli altri, con delle regole. Mi chiamavano ‘Maldito il maledetto', ma senza un significato preciso, ero un nome come tanti". Proprio perché pratica uno sport di contatto come l'MMA in aula l'imputato ha affermato di "conoscere le conseguenze di un calcio in pieno petto e per questo non l'avrei mai fatto". Riporta anche la circostanza riportatagli dal fratello Gabriele che gli avrebbe raccontato "di non aver colpito Willy" nella rissa, ma un suo amico proprio per proteggerlo.
Marco Bianchi ricostruisce in aula anche i rapporti con gli altri due imputati Belleggia e Pincarelli: "Ho conosciuto Francesco e Mario alle scuole medie, poi ognuno ha cambiato istituto e da lì non ci siamo più visti. Una semplice amicizia, ogni tanto li incontravo ad Artena, poi quando mio fratello ha aperto il locale Belleggia ha iniziato a venire. Ci sentivamo, veniva a casa mia, nonostante dopo i fatti lui abbia dichiarato che non fossimo amici. Così con Mario, anche lui veniva al ristorante"
Gabriele Bianchi: "Accusati dalla feccia di Colleferro"
Subito dopo Marco ha deposto in aula il fratello Gabriele Bianchi, anche lui negando gli addebiti più gravi e rifiutando il racconto fatto da media e giornali. "Non ho colpito Willy, ma ho spinto e dato un calcio al petto a Samuele Cenciarelli. Me ne vergogno, e chiedo scusa a lui e alla sua famiglia", ha spiegato. Si è poi rivolto duramente ai suoi accusatori: "Siamo stati accusati dalla feccia di Colleferro che, davanti alle telecamere, ha parlato male di noi, dandoci dei mostri senza nemmeno conoscerci".