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Omicidio Michela Di Pompeo, processo si deve rifare: contestata aggravante per il compagno-killer

La Corte di Cassazione ha sollevato dubbi sull’aggravante dei futili motivi contestata al compagno e killer di Michela Di Pompeo, Francesco Carrieri. Questo perché gli stessi giudici d’appello hanno stabilito, nel 2019, una ‘semi-incapacità’ di intendere e volere dell’uomo, che ha comportato, tra l’altro la riduzione di pena da 30 a 16 anni di carcere.
A cura di Enrico Tata
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Dovrà sostenere un nuovo processo d'appello Francesco Carrieri, condannato a 16 anni per l'omicidio della compagna Michela Di Pompeo. La Corte di Cassazione ha sollevato dubbi sull'aggravante dei futili motivi. Questo perché gli stessi giudici d'appello hanno stabilito, nel 2019, una ‘semi-incapacità' di intendere e volere dell'uomo, che ha comportato, tra l'altro la riduzione di pena da 30 a 16 anni di carcere.

Il processo d'appello si dovrà rifare

L'omicidio è avvenuto a Roma il primo maggio del 2017. Michela Di Pompeo, insegnante della Deutsche Schule, è stata uccisa con un manubrio da palestra nel suo appartamento di via del Babuino, pieno centro storico della Capitale. La morte è avvenuta per ‘strangolamento atipico'. L'8 ottobre del 2018 Carrieri è stato condannato dal gup Elvira Tamburelli a 30 anni di reclusione per omicidio volontario, il massimo della pena prevista dal rito abbreviato. Un anno dopo, in parziale riforma di questa sentenza, i giudici della Corte d'assise d'appello di Roma, hanno condannato l'uomo a 16 anni, poiché, per l'appunto, è stata dimostrata la seminfermità mentale. La difesa di Carrieri ha presentato un ricorso che la Cassazione ha accolto: la sentenza di secondo grado, infatti, "è stata annullata in relazione alla circostanza aggravante dei futili motivi di cui all'art. 61 n. 1 del codice penale. Pertanto, dovrà essere rinnovato sul punto il giudizio da altra sezione della Corte di assise di appello di Roma". In altre parole, su questo punto dovranno esprimersi nuovamente i giudici di secondo grado.

La versione di Carrieri: "Litigammo e la uccisi"

Carrieri ammise subito le sue responsabilità e questa fu la sua versione dei fatti: "Quella sera eravamo rientrati da un week-end fuori. Presi il suo telefono per vedere i messaggi, era la prima volta che le controllavo il telefono, forse era successo una volta. Lo avevo fatto per leggere cosa diceva della mia malattia con le sue amiche, qual era il giudizio nei miei confronti, non ho trovato niente d'importante. Alle 5 del mattino la svegliai, le dissi che non volevo tornare al lavoro e ci fu una lite perché lei voleva che tornassi al lavoro. Io dicevo tra me e me: ‘io non sono un assassino' ma invece l'ho colpita. Poi non sapevo se era viva o morta e sono andato dai carabinieri a costituirmi. Non so perché le ho fatto del male, ho rovinato la sua vita e la vita di tutti".

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