video suggerito
video suggerito

Nove ore a raccogliere melanzane sotto al sole: per i colleghi, Singh Rupinder è morto di fatica e caldo

Un’altra vittima del lavoro nei campi, di giornate con la schiena piegata per una manciata di euro all’ora: Rupinder, 55 anni, si è sentito male il 2 luglio 2023 dopo 9 ore di lavoro nei giorni più caldi dell’anno ed è morto dopo un paio di settimane di ricovero. Flai Cgil Frosinone-Latina: “In estate aumentano gli accessi al pronto soccorso di Latina, sono malanni di braccianti nei campi”.
353 CONDIVISIONI
Foto di Yara Nardi
Foto di Yara Nardi

Sono passati pochi giorni dalla morte di Naceur Messauod, il bracciante 57enne che ha perso la vita mentre raccoglieva cocomeri per 1 euro l’ora a Montalto di Castro, venerdì 21 luglio. Eppure, la sua tragica storia non è la prima e di sicuro non sarà l’ultima: testimonianze di sfruttamento, di lavori sottopagati e in condizioni non dignitose, di impieghi senza tutele che soprattutto in queste settimane di caldo asfissiante rischiano troppo spesso di rivelarsi fatali.

Mercoledì scorso è morto Singh Rupinder, un altro bracciante 55enne impiegato nel lavoro di raccolta nei campi, di melanzane per l’esattezza. La sua storia viene riportata da Repubblica.

Il malore dopo una giornata nei campi

Era la sera del 2 luglio 2023 quando Singh Rupinder si è sentito male. Era rientrato nella sua abitazione a Bella Farnia – comprensorio in provincia di Latina, di fatto auto-organizzato, che è passato da uno stato di abbandono a case per migranti, soprattutto per quelli impiegati nei terreni del Pontino – dopo 9 ore trascorse in un campo, con la schiena piegata e le temperature roventi, a raccogliere le melanzane. Rupinder ha accusato un malore una volta rientrato in casa dopo il lavoro massacrante. Gli altri uomini che vivevano con lui hanno chiamato i soccorsi: è stato ricoverato in neurologia e sottoposto a un intervento, ma il 55enne non ce l’ha fatta e, dopo alcuni giorni di rianimazione, è morto lo scorso mercoledì. La sua salma si trova ancora in obitorio: Rupinder non ha parenti in Italia, il suo corpo verrà probabilmente rimpatriato ma ancora non si sa chi se ne farà carico.

"Vengono dichiarati ‘incidenti in casa': sono malanni di braccianti nei campi"

Tecnicamente Rupinder ha accusato il malore a casa, non nei campi. Non si può formalmente dire che sia morto sul posto di lavoro, ma per tutti gli altri braccianti suoi colleghi e per i sindacati che si occupano della questione, è innegabile che sia deceduto a causa della fatica e del caldo, dopo aver passato troppe ore piegato nei campi sotto al sole battente. Nove ore. Il tutto, per 5 euro all’ora. Parte della paga era destinata ai suoi figli e alla famiglia, in attesa di un futuro ricongiungimento in Italia.

Secondo quanto riportato da Repubblica, Laura Hardeep Kaur, segretaria della Flai Cgil Frosinone-Latina, ha riferito che in estate i numeri di accesso al pronto soccorso dell’Ospedale di Latina segnalano importanti picchi: “Vengono dichiarati ‘incidenti in casa’, ma sono malanni di braccianti nei campi. Per proteggere il titolare dell’azienda e quindi il proprio lavoro vengono fornite false dichiarazioni”.

Marco Omizzolo è un ricercatore Eurispes esperto di temi come migrazioni e caporalato, in passato ha lavorato come infiltrato in diverse aziende agricole dell’Agro Pontino con squadre di braccianti indiani per studiare il grave fenomeno dello sfruttamento in agricoltura. Lo scorso 11 luglio, una decina di giorni dopo il malore di Singh Rupinder e una settimana prima della morte di Naceur Messauod, sul suo profilo Facebook aveva condiviso uno scatto ricevuto direttamente dall’Agro Pontino, con un orologio che segna le ore 13.04 e mostra una temperatura di 35.9 gradi: “Questa è la temperatura che oggi si registrava in una serra dell'Agro Pontino. La foto mi è stata inviata da un lavoratore impiegato nelle campagne tra Latina e Cisterna. Eppure, al suo interno, oltre 12 braccianti continuavano a raccogliere gli ortaggi. La legge prevede che superati i 35° si può sospendere l'attività lavorativa e chiedere la cassa integrazione. In questa serra invece non solo si continua a lavorare, ma non viene passata l'acqua per bere e rinfrescarsi”. E non si tratterà, nello specifico, dell’esatto luogo di lavoro di Rupinder o Messauod, ma di un destino comune a molti, troppi lavoratori nei campi, braccianti tra lavoro nero e caporalato. “I controlli dove sono? – conclude Omizzolo – Qualcuno/a dice di non disturbare chi produce. Almeno fino a quando chi raccoglie non cade per terra morto di sfruttamento, fatica e indifferenza. E forse neanche in questo caso”, le profetiche parole.

353 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views