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L' omicidio di Simonetta Cesaroni in via Poma

Negli atti d’indagine di 32 anni fa c’è il nome dell’assassino di Simonetta Cesaroni

È questa l’ipotesi investigativa che emerge dalle carte della Commissione parlamentare d’inchiesta: un insabbiamento immediato che ha sviato le indagini allontanandole da un uomo dello Stato. Ma il nome sarebbe proprio contenuto nei documenti sulle battute iniziali dell’inchiesta.
A cura di Emilio Orlando
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Simonetta Cesaroni
Simonetta Cesaroni
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L'uomo che potrebbe essere il killer di Simonetta Cesaroni, non venne indagato e la sua posizione non venne esaminata dagli investigatori e dagli inquirenti, che dal lontano 7 agosto del 1990 indagano sul delitto di via Poma. L'aver insabbiato e omesso di verificare l'alibi di un residente nel palazzo dove venne uccisa la segretaria, secondo la Commissione Parlamentare Antimafia, avrebbe generato una serie di ricatti e favori ricevuti da uomini di Stato nei confronti di alte cariche istituzionali. Questa è la "mancata" verità che emergerebbe a oltre trent'anni di distanza dai lavori della commissione, verità che è ancora lontana da diventare verità giudiziaria.

Il killer conosceva bene il palazzo

L'assassino di Simonetta Cesaroni è uno "stanziale". Conosceva bene il palazzo e le via di fuga più nascoste. C'è un'intercettazione telefonica, un verbale di sopralluogo della sezione omicidi della squadra mobile di Roma redatto pochi giorni dopo l'omicidio della Cesaroni, in cui si fanno dei nomi, di cui uno in particolare, potrebbe essere l'assassino che, il 7 agosto, ha sferrato le 29 coltellate sulla giovane segretaria dell'A.I.A.G. (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù). Un delitto considerato uno dei cold case per antonomasia, nella cronaca criminale italiana e romana, dove la Procura capitolina e la polizia hanno tentato più volte di riaprire, ripercorrendo le migliaia di atti d'indagine che all'epoca vennero stilati con dovizia di particolari, soffermandosi però su alcuni elementi che hanno portato fuori strada gli investigatori. Il sopralluogo della polizia scientifica nell'ufficio dove Simonetta lavorava quel giorno, portò all'epoca dei fatti alla raccolta, sulla scena del crimine, di una macchia di sangue sulla maniglia della porta del gruppo A. Gli investigatori non riuscirono a collocare nessuno nell'appartamento che avesse quel gruppo sanguigno.

Partendo da questo elemento il caso potrebbe essere riscritto anche dal tipo di arma utilizzata per l'omicidio. Il medico legale di allora, esaminando le ferite mortali e quelle più superficiali, scrisse nel referto dell'autopsia e nella relazione che consegnò al sostituto procuratore titolare dell'inchiesta del '90 che i tagli erano di forma bifida, a coda di pesce, compatibili con molta probabilità con un taglierino. Alla luce dei nuovi esami la lama utilizzata potrebbe invece essere compatibile con uno spadino simile a quello che utilizzano i cadetti nelle accademie militari, il fodero sul cinturone di rappresentanza.

La riapertura delle indagini sull'omicidio di Simonetta Cesaroni

Le ultime indagini della Direzione Investigativa Antimafia sono cominciate dopo l'audizione a Palazzo San Macuto, di Paola Cesaroni sorella di Simonetta, dell'avvocato della famiglia, Federica Mondani, e dal giornalista e scrittore Igor Patruno, esperto sul caso. Secondo chi indaga, chi ha coperto l'omicida, creando depistaggi e false testimonianze avrebbe anche infangato il nome della vittima facendo credere che fosse una ragazza incline a incontri al "buio" con uomini conosciuti su una chat del "Videotel". Il cadavere di Simonetta venne ritrovato la sera, dopo che la sorella si era mobilitata per cercarla, seminuda, con il reggiseno calato verso il basso e il seno scoperto, un top posato sulla pancia per coprire le ferite più vistose. La scena del crimine oggi si presenta diversamente rispetto allo stato dei luoghi dei 32 anni fa. Quell' appartamento, è stato trasformato in un B&B di lusso e le varie stanze hanno una disposizione diversa: in una un cuore dove è stata trovata senza vita Simonetta.

L'omicidio di Via Poma

Simonetta Cesaroni è stata uccisa in quell'ufficio con 29 coltellate, il 7 agosto del 1990. L'ufficio, teatro del crimine, venne ripulito. Venne arrestato qualche mese dopo Petrino Vanacore, il portiere dello stabile ma scarcerato poco dopo perché ritenuto estraneo all'omicidio. La sua permanenza in carcere durò tre giorni e venne sospettato perché una macchia di sangue fu trovata sui suoi pantaloni. Quella traccia ematica, però nono era di Simonetta, ma di Vanacore.  Successivamente, Raniero Busco, il fidanzato dell'epoca, venne processato, condannato in primo grado a 24 anni, assolto poi in appello e, in via definitiva dalla Cassazione con formula piena.Un altro sul quale inizialmente si concentrarono le indagini fu Salvatore Volponi, datore di lavoro della segretaria, ma aveva un alibi nel lasso di tempo 17.45-18, orario fissato per il decesso. Indagato e poi prosciolto anche Federico Valle, nipote dell'architetto Cesare che viveva nel palazzo.Infine Vanacore, che avrebbe dovuto testimoniare nel processo Busco, si suicidò prima di comparire in tribunale.

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