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Morte Valeria Fioravanti, la pm: “Scambiarono la meningite per mal di testa, processo per 3 medici”

Valeria Fioravanti è morta di meningite, ma per i medici si trattava soltanto di una brutta cefalea: per questa ragione la pm ha chiesto il processo per tre medici.
A cura di Beatrice Tominic
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"Processo per tre medici – la richiesta della pm per la morte di Valeria Fioravanti, morta un anno fa a 27 anni per una meningite non diagnosticata – Hanno agito in cooperazione colposa fra di loro". Diagnosi approssimative e terapie controproducenti: i medici avevano scambiato la meningite della ventisettenne con una forte cefalea. Così Valeria, dopo essersi presentata in due diversi ospedali romani alla fine di dicembre 2022, era stata rispedita a casa, fino alla morte avvenuta l'11 del mese.

"Non fu effettuata una valutazione neurologica approfondita – si legge, come riporta il Corriere della Sera, nei capi d'imputazione – Nè furono eseguiti esami ematochimici di alcun genere".

Gli ospedali coinvolti: il policlinico Casilino

I sintomi hanno iniziato a manifestarsi dopo un'operazione effettuata nel Campus Biomedico di Roma, dove è stata sottoposta ad un'operazione di routine, la rimozione di una piccola cisti. Quando è arrivato il forte mal di testa. Così forte da spingere la ragazza a rivolgersi al pronto soccorso del policlinico Casilino. Una volta arrivata, viste le resistenze a tachipirana e le vertigini prolungate, uno dei tre medici che oggi rischiano il processo, M.V.,  le ha prescritto il Toradol, pontente antidolorifico. Ma il dolore non è sparito. Non soltanto: come si scoprirà in seguito, anche il Toradol contribuirà a mascherare la meningite.

L'arrivo al San Giovanni: "Non ci furono approfondimenti"

Qualche giorno dopo, il 4 gennaio, Fioravanti ha deciso di tornare a chiedere aiuto. Stavolta si è recata al San Giovanni. Ha dolori in tutto il corpo, "cefalea retronucale, dolore lombare irradiato a entrambi gli arti inferiori". È stato il secondo medico, il dottor G.F. a sottoporla ad un elettrocardiogramma da cui non emergono novità. Nonostante questo è stato poi il terzo, il dottor C.A., a non approfondire.

Secondo quanto spiega la pm, i due medici, nonostante l'assenza di dati a causa del mancato "approfondimento diagnostico e dell’esecuzione di un esame obiettivo neurologico", hanno orientato la diagnosi verso una "lombosciatalgia resistente alla terapia antalgica", senza  valutando la cefalea retronucale, né la storia clinica della paziente.

Non solo reati: "Ci hanno cacciato dall'ospedale"

Oltre ai tre medici coinvolti, i genitori della ventisettenne hanno spesso raccontato di alcune infermiere che li avrebbero cacciati via dall'ospedale: per questo si sono messi immediatamente alla ricerca di testimoni che potessero raccontare quella scena.

"Ero al pronto con mia figlia, ci hanno detto che era esagerata e che avrebbero chiamato le forze dell'ordine se non ce ne fossimo andate, ma per quella visita non abbiamo una cartella clinica", aveva raccontato la mamma, con una nota. "Rileggo le chat dell'anno scorso, con mia figlia – ha invece raccontato il padre della giovane ad un anno dalla morte – Mi diceva che aveva chiesto da bere e che neanche la ascoltavano. Aveva un'infezione, per lei non è stato fatto niente. Ma si poteva salvare. Con le cure lei si sarebbe potuta salvare".

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