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Arrestato Raffaello Melaragno: il ras dei taxi che gestiva gli affari con ricatti ed estorsioni

Le Fiamme Gialle di Roma hanno eseguito oggi la misura cautelare degli arresti domiciliari per l’amministratore di fatto di 21 cooperative di taxi e noleggio con conducente. Numerosi tassisti ed autisti erano costretti a sottostare a minacce ed estorsioni pur di continuare a lavorare. Mesi di indagini fanno emergere l’esistenza di uno “spaccato criminale” ormai consolidato.
A cura di Luca Ferrero
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È risultato essere l'amministratore di fatto di ben 21 società cooperative operanti nel settore del trasporto di persone. Raffaello Melaragno, 50 anni, vero e proprio ras delle auto bianche nella capitale, un nome che incuteva in molti timore e paura. L'uomo è finito agli arresti domiciliari con l'accusa di aver estorto denaro ai "soci" di quelle che di fatto erano cooperative solo di nome, ma su cui l'uomo avrebbe deciso tutto, compresa la parte destinata ai conducenti. Dall'inchiesta è emerso quello che gli inquirenti non esitano a descrivere come uno "spaccato criminale" nella gestione del servizio di taxi, che vedeva come prime vittime proprio i conducenti costretti a subire regole arbitrarie e vessatorie pur di mantenere il posto di lavoro. E a chi non andava bene venivano rivolte minacce di licenziamento e sottrazione dell'auto.

Minacce ed estorsioni

Le indagini, partite a gennaio di quest'anno, hanno visto già da febbraio l'utilizzo di perquisizioni, analisi delle movimentazioni bancarie del soggetto e delle varie società a lui riferite. Società affidate a vari prestanome che risultano coinvolti nelle indagini.  Gli uomini della Guardia di Finanza hanno potuto così ricostruire un metodo consolidato, con cui Melagrano gestiva il suo impero economico: a chi alzava la testa arrivavano minacce di licenziamento o di sottrazione dell'auto utilizzata per il servizio, oltre che di azioni legali per presunti crediti nei confronti delle cooperative.

Tassisti sfruttati o licenziati

Così l'uomo imponeva condizioni di sfruttamento. Secondo quanto ricostruito dal mese di luglio del 2018 fino ad oggi, i "soci" sono stati costretti a versare somme di danaro, anche indipendentemente dai reali incassi, con "la predisposizione di buste paga di comodo contenenti indicazioni fittizie". Neanche i mesi del lockdown hanno fermato la bramosia dell'indagato che, secondo quanto emerso, ha continuato a pretendere dai soci le loro quote anche se l'Inps aveva erogato alle società in questione il fondo di integrazione salariale, soldi che neanche a dirlo sarebbero rimasti nelle tasche di Melagrano

Sulla base di quanto scoperto dalle Fiamme Gialle, le cooperative sono state poste in liquidazione lo scorso maggio dal Ministero dello Sviluppo Economico, che ha nominato dei commissari liquidatori.

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