Per salvare il MAAM non c’è più tempo: “Siamo a un bivio, o l’acquisto pubblico o lo sgombero””
Il venerdì è giorno di pulizie al MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove all’interno di Metropoliz, l’ex Salumificio Fiorucci occupato in via Prenestina 913 a Roma. Fuori c’è Mohammed a fare il picchetto mentre beve un caffè, dentro un’occupante pulisce le sale dove sono esposte le centinaia di opere donate da diversi artisti internazionali. “Il sabato si riempie di visitatori, spesso vengono dei gruppi di studenti, altre semplici turisti”.
Metropoliz e il MAAM sono “un esempio straordinario di rigenerazione urbana che rischia di essere spazzato via”, spiega Giorgio de Finis, curatore del museo. Uno spazio espositivo e un’occupazione abitativa che danno un tetto a 70 nuclei familiari, 200 persone, che prima non lo avevano. Un’esperienza lunga 14 anni che rischia di vedere vanificati tutti gli sforzi fatti nel corso del tempo, dopo l’ordine di sgombero entro 60 giorni a partire da fine aprile partito direttamente dal governo dopo che un giudice ha stabilito un nuovo risarcimento milionario per la proprietà, una società del gruppo Salini.
Gina, 21 anni studentessa di ingegneria, è arrivata qui con i primi occupanti e ricorda bene un tentativo di sgombero nel 2012. “Ci asserragliammo tutti sulla torre, ricordo mia madre che prendeva i documenti in fretta”. Da quel momento per paura di essere cacciata tiene sempre la valigia pronta, teme di trovare la polizia al ritorno dall’università o dal servizio civile.
“Siamo a un bivio ormai”, dice de Finis, “da una parte l’ultimatum da parte della prefettura, dall’altra la possibilità di entrare nel Piano casa”. E sarebbe proprio il Piano casa di cui si discute al Campidoglio che potrebbe cambiare le sorti del MAAM e di Metropoliz. “Il comune tratterebbe con la proprietà l'acquisto e noi non avremmo più questa spada di Damocle. Si regolarizzerebbe l’occupazione, si migliorerebbero le case e si porterebbe a compimento questo processo di rigenerazione urbana.”
Il MAAM nato nel 2013, 4 anni dopo l’occupazione, è quello che viene definito “il primo museo abitato al mondo”, tanto che il famoso antropologo Marc Augé lo definì “superluogo”. Lo scorso anno la campagna – un po' provocazione un po' – per chiedere all’Unesco il riconoscimento come bene immateriale dell’umanità. Proprio per questo ospita di tanto in tanto degli studiosi, come Josip Zanki, professore di antropologia di Zagabria, e i suoi studenti, che stanno svolgendo le loro ricerche: “Questo è un posto unico, dove l’utopia sociale e politica incontrano la creatività artistica”.
Metropoliz è quello che de Finis definisce “un'idea diversa di città”, perché “abbiamo creato una corto circuito tra i musei affidati alle Archistar nel centro città e il museo nel mezzo della polvere che nessuno vuole vedere, la periferia”. Una barricata a difesa delle persone, migranti e precari, che abitano qui minacciate costantemente dallo sgombero coatto.
In quello che gli stessi residenti definiscono "mosaico meticcio e colorato, fatto di pezzi considerati irregolari e deformi dalla società" la voce è una sola: "Noi da qui non ce ne andiamo". E a spiegare il perché c'è Sabrina Mohammed, anche lei giovane studentessa, "è tutto per me, è il mio mondo, sono cresciuta qua, è come una casa”. Una casa che è anche un museo, che è anche un esperimento di trasformazione della città.