Massimo Carlotto racconta il suo ultimo romanzo: “Trudy non è un’eroina, ma una donna che lotta”
Abbiamo intervistato Massimo Carlotto che si trova a Roma e domani chiuderà la manifestazione Brividi a Km0, realizzata alla Biblioteca Ennio Flaiano del Tufello con il sostegno del III Municipio. Qui lo scrittore di noir e thriller interverrà questo pomeriggio, dialogando con Giacomo Brunoro e Daniele Villani. Da qualche giorno è in libreria l'ultimo romano di Carlotto, Trudy edito da Einaudi, e con l'occasione gli abbiamo fatto qualche domanda.
Trudy è sicuramente il tuo romanzo più immerso nella cronaca del Paese, dentro si ritrovano vicende che abbiamo letto sulle pagine dei giornali solo qualche mese fa. Perché questa esigenza?
Per me era il momento di tornare a scrivere un libro dentro la cronaca quotidiana del nostro Paese, perché stiamo vivendo un'emergenza, e un momento di crisi e cambiamento, e che tutto questo vado raccontato. E credo che il noir serva proprio a raccontare le trasformazioni sociali, che possa essere una lente d'ingrandimento per leggere la realtà che ci circonda.
Proprio sul genere, ti volevo fare una domanda. Diciamo dopo dopo esserti affermato come un autore noir, negli ultimi anni hai scritto dei libri che sono più degli hard boiled o dei thriller. Qui invece troviamo al centro della scena il mondo del lavoro, le dinamiche di sfruttamento e la violenza del più forte. Non c'è un vero e proprio mistero da risolvere, tanto meno colpi di scena inaspettati…
Il Trudy è una storia di criminalità la nostra lente d'ingrandimento. C'è un doppio binario della narrazione, da una parte l'investigazione e la verità che viene a galla che coinvolge il lettore nella storia, dall'altra il racconto degli intrecci tra economia legale e illegale, e di un certo mondo legato ai servizi di sicurezza privata.
Spesso nei tuoi libri hai raccontato la mafia dei colletti bianchi, e la disponibilità della borghesia italiana a farsi coinvolgere in imprese criminali. Ma forse per la prima volta i protagonisti sono proprio loro: i criminali con il colletto bianco…
Il romanzo poliziesco, la letteratura di genere, si è ancora misurata poco con questa realtà, che invece credo sia estremamente interessante anche dal punto di vista narrativa. Non parliamo di outsider, ma di uomini e donne perfettamente inseriti nella società, che esercitano un potere non indifferente e il cui unico obiettivo è averne di più, ma soprattutto arricchirsi.
Ci sono i colletti bianchi, ma ci sono anche le lotte dei subalterni. Quando hai incontrato le battaglie sindacali dei facchini e nel comparto della logistica? Molte delle storie che racconti nel libro sono letteralmente prese dalla cronaca più recente.
Mi occupo di caporalato da molti anni e non ho mai smesso di accompagnare le lotte sindacali. La prima volta che ho incontrato questo nuovo capolarato è stato quando è esploso il caso di Grafica Veneta, in provincia di Padova. La cultura italiana ha espulso il racconto del lavoro e di chi lavora, la letteratura non se ne interessa e credo invece sia necessario farne delle storie. Parlare di lavoro e di sfruttamento in un romanzo di genere mi sembrava importante.
Non è un caso che il primo festival della letteratura working class in Italia (arrivato alla seconda edizione), si sia tenuto all'interno della fabbrica ex Gkn grazie all'impegno di Alberto Prunetti e della casa editrice Alegre, ma soprattutto dell'assemblea di fabbrica. Hai partecipato?
Certo che sono stato al festival. Sono un lettore di letteratura working class per quel poco che viene pubblicata e quello che è accaduto alla Gkn è un fatto importante. Ma quello che credo è che non basti neanche la letteratura working class, ma che serva una letteratura del conflitto, che mostri davvero cosa accade dentro la nostra società, che ne disveli la violenza.
Trudy è probabilmente il personaggio femminile che hai messo in pagina più sfaccettato. Come è stato misurarsi con lei?
È una giovane donna che non ha molti strumenti, che non ha studiato e che viene da un ambiente sociale umile, che trova la sua strada per sopravvivere all'interno di un mondo maschile che cerca di schiacciarla. Impara a destreggiarsi e, non senza pagare un prezzo, prende in mano la sua vita per condurre un'esistenza degna. A me piace molto il personaggio proprio perché non un'eroina, ma è molto molto umana.
Chi sono i "pretoriani" del libro?
Sono quelli che difendono gli interessi della classe dirigente, che si assumono il compito di farlo in cambio di privilegi e potere.
Nel romanzo racconti il settore della sicurezza privata, in grado di ricattare, spiare, intercettare. Quanto c'è di vero e quanto è finzione?
Non mi sono ispirato a un caso in particolare, o ha inchiesta, quindi da questo punto di vista non c'è niente di vero. Ma non c'è dubbio che parliamo di un settore, potente e che si è sviluppato a dismisura la nostra società senza che noi ce ne accorgessimo. D'altronde in nome dell sicurezza ormai diamo per scontato che si possa fare tutto o quasi. È un mondi di privati che arriva dal pubblico, che impiega le conoscenze e le relazioni di ex membri dei servizi segreti, delle forze speciali, di polizia e carabinieri, creando una commistione che credo davvero pericolosa.