Martina Ciontoli e il permesso premio per lavorare al bar, la mamma di Vannini: “Non si è mai scusata”
Martina Ciontoli è stata condannata in via definitiva a 9 anni e 4 mesi di carcere per concorso in omicidio volontario con dolo eventuale nei confronti di Marco Vannini. Stessa condanna per la madre e il fratello, 14 anni per il padre, Antonio Ciontoli. Martina, ex fidanzata di Vannini, ha ottenuto dal Tribunale di sorveglianza la possibilità di allontanarsi dal carcere per lavorare al bancone del bar del Ministero della Giustizia dal lunedì al venerdì dalle 7,30 alle 14,30.
Una notizia, questa, che la madre di Marco Vannini, la signora Marina, ha commentato così ai microfoni de Il Messaggero: "Martina Ciontoli detenuta modello? Non credo lo meriti, non ci ha mai scritto nemmeno una lettera di scuse o di pentimento. Quello che ci domandiamo con mio marito Valerio è come possa essere considerata detenuta modello proprio lei che non ci ha mai cercato, nemmeno per dirci che le dispiaceva per quanto accaduto. Si è veramente pentita? Non credo".
La verità, continua mamma Marina, "non l’abbiamo mai saputa. Solo chi era dentro in quella casa la conosce, Martina inclusa. Verità che tengono ben nascosta, però mirano al reinserimento nella società come se non fosse successo niente. E invece è successo che il nostro angelo biondo, un giovane bellissimo con tanta voglia di vivere, ce lo hanno portato via. Chiedeva aiuto dopo essere stato ferito, non posso dimenticarlo. Come si possono dimenticare quelle urla nelle registrazioni del 118?".
Martina, spiega ancora la signora Marina, "non si è mai scusata con noi, non lo ha fatto mai nelle udienze, anzi quando ci vedeva si girava dall’altra parte. Non si è mai sentita. Bisogna dimostrare di essere delle persone modello".
Secondo i giudici della Corte di Cassazione tutti i membri della famiglia Ciontoli sono responsabili per quanto accaduto, non solo Antonio Ciontoli, che materialmente ha sparato il colpo di pistola che ha ucciso Marco Vannini. Nelle motivazioni della sentenza si legge che tutti i membri della famiglia, "si preoccuparono subito della presenza del proiettile ancora nel corpo di Vannini, tutti ebbero immediata cognizione di tale circostanza e tuttavia nessuno si attivò per allertare tempestivamente i soccorsi, fornendo le informazioni necessarie a garantire cure adeguate al ragazzo ospitato nella loro abitazione e che, sino a quella sera, avevano trattato come uno di famiglia".