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Maresciallo condannato a risarcire 1,5 milioni di euro rubati all’ospedale del Celio

Già condannato a 9 anni dal Tribunale Militare, l’ormai ex Maresciallo dovrà restituire 1,5 milioni di euro all’ospedale militare del Celio.
A cura di Redazione Roma
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Un ex maresciallo dell'Esercito è stato condannato a risarcire le casse del Policlinico Militare del Celio, e quindi il ministero della Difesa, per oltre un milione e mezzo di euro, soldi che avrebbe sottratto illegalmente dalle casse dell'ente per farli transitare su un conto corrente nelle sue disponibilità e poi ritirarli in contanti. Una continua sottrazione di denaro che avrebbe portato avanti dal 2009 al 2015, quando ricopriva il ruolo di cassiere e poi di responsabile della rendicontazione dell'ospedale militare. Condannato anche un sottoposto del maresciallo, anche lui militare dipendente del nosocomio, che sarebbe stato coinvolto in alcune delle operazione illecite, che dovrà invece risarcire poco più di 90.000 euro. Entrambi già sono stati condannati al Tribunale Militare, il primo a 9 anni e 2 mesi, il secondo a ‘solo' 2 anni e 4 mesi.

La vicenda è riportata oggi dalle pagine della cronaca di Roma del quotidiano il Messaggero, che riporta le ragioni della sentenza emessa dalla Corte dei Conti. Secondo i giudici contabili l'ex graduato dell'Esercito avrebbe "agito in maniera più riprovevole", approfittando di aver "avuto la possibilità di approfondire i meccanismi della contabilità del Celio, di cui ha saputo sfruttare con spregiudicatezza le molte falle".

Ma come ha fatto a rubare oltre 1 milione e mezzo di euro per anni senza farsi mai beccare? Evidentemente il responsabile della contabilità non si limitava semplicemente a dirottare il denaro sul suo conto, ma modificava gli ordini di pagamento, eseguendo bonifici per cifre leggermente inferiori a quelle segnate ai fornitori. Ma solo, per i giudici: "L'appropriazione delle somme che l'ospedale aveva in prassi di anticipare ai medici convenzionati, con l'esecuzione di bonifici sui propri conti e il prelievo delle somme, anche utilizzate per la gestione del Cup". Una condotta che designerebbe un "intento predatorio delle risorse pubbliche", ma soprattutto riusciva a dirottare i fondi Irpef e Inpdap La parte più consistente delle operazioni illegali riguardava il versamento di Irpef e Inpdap dei dipendenti.

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