Il 2 giugno 1946 il referendum costituzionale segnava la fine della Monarchia con la fine del regime fascista e la nascita della Repubblica. Una data che è diventata festa nazionale e che, purtroppo, continuiamo a festeggiare con una parata militare nel centro di Roma che quest'anno, per il secondo anno consecutivo, non si terrà a causa della pandemia di Covid-19. Perché non prendere la palla al balzo allora e smetterla di celebrare la Repubblica con mimetiche e fucili? "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo", recita d'altronde l'articolo 11 della Costituzione.
Sarebbe bello che il 2 giugno sfilasse la Repubblica della Pace. Le associazioni di volontariato, i medici e gli insegnanti, i ragazzi e le ragazze di seconda generazione, che parlassero gli uomini e le donne accolti qua da noi in fuga dalle guerre. Che sfilasse chi tutti i giorni prova a rendere una realtà l'articolo più importante della nostra Costituzione, il terzo, quello che ne fa non una carta immobile ma un possibile motore di una società più equa: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Potrebbe anche essere l'occasione per mettere al centro del dibattito pubblico i temi della pace e di una globalizzazione giusta, che sembrano così drammaticamente passati di moda, perché il mondo post pandemia sia davvero meglio di quello che ci siamo lasciati alle spalle, che identità non sia più sinonimo di esclusione, gerarchia, disuguaglianza. Potremmo rendere omaggio al Milite Ignoto ricordando anche chi ha scelto di disertare e disobbedire agli ordini, di scappare dalla mattanza delle trincee e alla violenza della guerra, oppure i crimini delle guerre coloniali italiane fatti di massacri, bombardamenti con armi chimiche e pulizia etnica.
Insomma al posto di una festa delle armi e delle divise potrebbe diventare il 2 giugno il giorno in cui pensiamo a come fare a meno di armi e divise. Una giornata in cui l'opinione pubblica discute del peso delle spese militari, dell'export di armi italiane e delle missioni delle Forze Armate italiane all'estero. Una giornata di mobilitazione civica e civile al posto del passo dell'oca e di una retorica patriottarda che puzza di naftalina.