C'era una volta l'Estate Romana. Una manifestazione figlia dell'intuizione e della determinazione di Renato Nicolini, e del coraggio di un sindaco come Giulio Carlo Argan. Era il 1977 e Nicolini progettò una manifestazione allo stesso tempo di avanguardia e popolare. Alto e basso, il cinema americano gratis e per tutti con la sperimentazione teatrale e poetica.
L'idea era prima di tutto quella di aprire gli spazi e i fondali più prestigiosi di Roma a chi veniva da periferie e borgate, poi di intercettare il bisogno di partecipazione e di protagonismo che veniva dalla società italiana.
Nicolini praticava quello che chiamava il meraviglioso urbano:
Il meraviglioso urbano, per me architetto, è ciò che è oltre l’architettura, ciò che non può essere ridotto all’architettura. Riconoscere il quotidiano come meraviglioso è possibile solo a patto di riconoscere il meraviglioso come quotidiano, di sapersi cioè ancora stupire di fronte alla diversità dell’esperienza, ed alle infinite possibilità che questa diversità rivela. Si potrebbe aggiungere che questo comporta anche la capacità, così naturale nell’infanzia, di credere alla possibilità delle proprie immaginazioni.
L'altra idea che mette in pratica l'architetto prestato alla politica è quella dell'effimero, creando dentro la città momenti e prosceni destinati poi a scomparire dopo la loro fruizione, ma in grado di cambiarli per sempre nell'immaginario collettivo.
C'è una canzone di Lucio Dalla che più di tutte rende quella atmosfera forse unica e irripetibile. È La Sera dei Miracoli:
Si muove la città
Con le piazze e i giardini e la gente nei bar
Galleggia e se ne va
Anche senza corrente camminerà
Ma questa sera vola
Le sue vele sulle case sono mille lenzuola
Di quella stagione di governo della città, quella di un centrosinistra a guida comunista tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli Ottanta, ci sarebbe molto da dire e da rivedere. Molte cose, con il senno di poi, non sono andate proprio come ci si aspettava: se i borghetti e le baracche sparivano per fare posto ai grandi caseggiati popolari, questi oggi assomigliano più a ghetti che a possibilità di emancipazione.
Ma rimane l'idea, fortissima, di un governo della città in grado di cambiare la vita delle persone. C'è un spot elettorale del Pci (qui si può vedere) dove tre giovani (Franco Citti, Ninetto e Pier Paolo Davoli) girano per la città scoprendo passo passo come le azioni dell'amministrazione l'avessero cambiata in meglio, soprattutto per le classi popolari. Commuovente nel suo essere didascalica, l'immagine del nonno di Ninetto Davoli che non esce più dalla vasca da bagno della sua nuova casa popolare: nella baracca l'acqua calda e la vasca da bagno non c'erano mica.
L'Estate Romana, quella Estate Romana, più di tutto rappresenta ancora oggi l'idea che l'indirizzo pubblico delle politiche culturali può cambiare la città, essere strumento di innovazione e di emancipazione.
Cosa rimane oggi di quella idea nella manifestazione promossa burocraticamente e stancamente dalle amministrazioni comunali capitoline? Poco o nulla, sempre meno. Si mettono un po' di soldi (sempre meno), si fa un bando, si carica tutto sulle spalle di operatori culturali costretti a lavorare in tempi strettissimi e a proprio rischio (la graduatoria definitiva è uscita ieri…), senza neanche garantirgli un minimo di continuità (un bando biennale, gli operatori culturali lo chiedevano almeno triennale). Questo non vuole dire che non ci siano tante, tantissime proposte, belle e importanti, a volte anche innovative. Ma sono messe insieme per fare un programma, non per esprimere un'idea di politiche culturali, di città, di cambiamento.
Dei progetti finanziati addirittura nove sono nel I Municipio per circa 600mila euro, in quelli di periferia uno a municipio. "Le aree caratterizzate per l’elevata attrattività di pubblico durante la stagione estiva, preliminarmente identificate dall’Amministrazione Capitolina", sono tutte nel I e nel II Municipio. Se Argan, Nicolini e Petroselli volevano nel bel mezzo degli anni della lotta armata e del terrorismo riconquistare il centro della città al divertimento popolare e disegnare nuove modalità di fruizione della città storica, oggi che senso ha concentrare la funzione culturale nella Roma più ricca e centrale? Per dirne solo una.
Quello che manca in questa Estate Romana è la direzione pubblica, l'idea che le politiche culturali possono contribuire in maniera determinante a cambiare le cose. Non c'è insomma un'idea che sia una.